Dal ciclocross alla strada, Tom Pidcock ha in mente solo la vittoria.
Un giorno ricorderemo il secondo decennio degli anni duemila come quello di Peter Sagan, delle sue vittorie e del suo modo irriverente di vivere il ciclismo, del suo tentativo di renderlo più appetibile e al passo con i tempi. Gli anni successivi li ricorderemo come quelli in cui sono stati ritoccati almanacchi e libri dei record; quelli in cui abbiamo raccontato prima van der Poel e Van Aert e successivamente Evenepoel, Bernal e le loro sfide con Pogačar, Hirschi, Gaudu, Sivakov e McNulty.
Ci ricorderemo, però, anche di un altro corridore un po’ particolare che in questi mesi sta catturando l’attenzione di molti. Arriva dal ciclocross, ma invece di essere un figlio d’arte o dei muri fiamminghi, invece di essere nato tra côtes ardennesi o infidi ciottoli al confine tra Francia e Belgio, batte bandiera britannica. Il suo nome è Thomas – detto Tom – Pidcock, anche se per tutti è Pidders, come scritto persino sulla maglia iridata che indossa nelle gare di ciclocross.
Classe ’99 nato a Leeds, quando ancora la squadra della sua città si difendeva alla grande nel massimo campionato di calcio inglese, Tom Pidcock è un corridore dal fisico davvero piccolo, ma dalle spalle davvero pesanti. Ha un motore che potrebbe essere usato per spingere un auto a regimi impensabili; non è solo ciclista, ma per come ci sta abituando alle sue esultanze è anche acrobata. Pidcock, quando si prenderà la scena, non lo farà in modo banale. Il magazine online Rouleur lo definisce uno showman, ma anche “la risposta britannica a Remco Evenepoel”.
Ha vinto due titoli mondiali nel ciclocross – uno tra gli junior e uno tra gli Under 23 – , ma racconta di non allenarsi mai su una bici da cross. Dice che il suo è un dono e che vuole goderselo e basta. Ha iniziato ad andare in bici quando a malapena camminava o sapeva esprimere un pensiero coerente, e quel mezzo lo usava per andare a scuola senza curarsi delle bizze metereologiche.
D’inverno, per la stagione del fango, risponde a un capo che di nome fa Sven Nys: il due volte iridato del ciclocross ritiene Pidcock folle, speciale e sostiene che quando pedala in mezzo al fango lo fa con la classe di un belga. Su strada, invece, Pidcock corre per la squadra di Bradley Wiggins – almeno fino al termine della stagione, quando il team chiuderà con il ciclismo. L’ex vincitore del Tour de France tempo fa gli consigliò di non andare a correre per il Team Sky: “Ti rovineranno”, gli disse il baronetto.
È un po’ superman ma anche fantino, va forte sulle pietre della Roubaix e vince in salita. Vive a Montecarlo, ma è cresciuto a due passi da Roundhay Park, dove Roger Hammond, britannico come lui, ottenne nel 1992 il titolo mondiale del ciclocross nella categoria juniores. Tom Pidcock, oltre a vincere fuoristrada, lo fa anche sull’asfalto: ha conquistato un mondiale a cronometro e diversi titoli nazionali, per dire, e quando si cimenta in pista va forte pure lì.
Gli sponsor, che già lo adorano, non vedono l’ora che diventi professionista su strada a tempo pieno; intanto lo si attende nel ciclocross, pronto a mettere in scena un qualcosa di mai visto contro van der Poel, Van Aert e Aerts. I migliori team provano già a tentarlo, ma lui ha già detto che correrà un altro anno tra gli Under 23. Di sé racconta che quando passerà tra gli élite vorrà competere nelle gare di un giorno, ma dice di sentirsi troppo piccolo e che quelle corse sono troppo lunghe per poter pensare di arrivare a livello dei più forti. Una modestia che sembra non appartenergli.
Nel 2017, quando era ancora junior, nel ciclocross vinse mondiale, europeo e titolo nazionale, laureandosi campione britannico anche nello Scratch, su pista. In quello stesso anno ha conquistato la prova di Coppa del Mondo di Hoogerheide, non un posto a caso: lì, tra gli élite, ha trionfato per quattro volte negli ultimi cinque anni un certo Mathieu van der Poel. I due non si assomigliano per niente, né in bici né fuori. L’olandese è un marcantonio, l’inglese uno scricciolo. Sono la Bestia e il Colibrì. Se van der Poel è creato per vincere, Pidcock è una macchina da marketing. Come l’olandese, però, quando passa da cross a strada conosce solo la vittoria: in quella stagione, non contento di dominare nel fango, vince la Parigi-Roubaix riservata agli juniores e poi il mondiale a cronometro su strada.
A inizio 2019 vince l’iride tra gli Under 23 nel ciclocross dopo aver vinto a fine 2018 di nuovo il titolo europeo e quello britannico; sempre tra gli Under 23, nel giugno di quest’anno, vince una delle Roubaix più massacranti di sempre per la categoria – una gara che ha fatto dubitare un corridore solido come Alberto Dainese, che in un’intervista ci raccontava di non volerla più correre, tanta è stata la fatica quel giorno, tanto è brutale e violenta quella corsa.
Per non far diventare questo pezzo un elenco di successi, vi invitiamo a consultare la sua pagina di Wikipedia. L’avete letta? Bene, riprendete fiato che continuiamo. In questa stagione Pidders, dopo la Roubaix, si prende il lusso di vincere persino una tappa con arrivo su una salita affrontata pochi giorni prima dal Tour de France: La Planche des Belles Filles. L’ha affrontata il Tour de l’Alsace, dove il piccolo britannico conquista anche la classifica finale davanti a gente quotata e rodata per le corse a tappe. I limiti di questo corridore restano tutti da scoprire.
La sua stagione, però, rischia una brusca frenata al Tour de l’Avenir: visti i suoi miglioramenti, il nativo di Leeds arriva con le carte in regola per provare a fare classifica. Terzo, quarto e secondo in appena quattro frazioni in linea; poi nella sesta tappa, mentre è in testa, cade e sbatte violentemente la faccia contro il guardrail: si rialza, arriva al traguardo, ma è costretto al ritiro. Matteo Jorgenson, giovane collega che lo seguiva qualche ruota più indietro, a fine corsa non gliele manda a dire: “Questo è quello che succede quando pensi di essere invincibile: non ha alcun senso prendere certi rischi.” Ricoverato in ospedale, Pidcock lascerà in tutta fretta un post sui social dedicato a tifosi e amici, con tanto di foto che lo mostra con il volto tumefatto e un messaggio che suona più o meno così: “Non mi ricordo molto di quello che è successo, ma ricordo abbastanza per sapere cos’è Instagram. So anche che oggi avrei vinto e quindi tutto questo è un po’ una merda“. Che non si tratta di un corridore normale si era capito.
Foto in evidenza: Tom Pidcock, Facebook