Un cronoman eccezionale, un carattere complicato e una nuova sfida da affrontare.
Così come di una scheggia impazzita è impossibile prevedere la traiettoria, fino a qualche settimana fa era altrettanto complicato capire in che modo sarebbe continuata la carriera di Rohan Dennis. Al massimo si poteva ricostruire e supporre: l’esperienza alla Bahrain Merida si era conclusa in maniera traumatica, mentre CCC, Movistar e Trek-Segafredo si erano affacciate ma rimanevano titubanti. È proprio per questo che ha destato scalpore l’ufficialità del passaggio di Dennis al Team INEOS: un cronoman eccezionale dal carattere complesso che si accasa alla squadra più scientifica e inquadrata del panorama ciclistico internazionale.
È stata anche una scelta economica, ovviamente. Alla Bahrain Merida guadagnava un milione, mentre CCC, Movistar e Trek-Segafredo non offrivano più duecentocinquamila euro: non si fidavano completamente di Dennis e il loro organico sostanzialmente era già completo. Quella tra Dennis e il Team INEOS potrebbe essere una lunga storia d’amore, una scappatella oppure un malinteso. Alla fine, è soltanto l’ennesima svolta improvvisa che Rohan Dennis ha impresso alla sua carriera.

Dieci volte tanto
“Chiedetelo alla mia ragazza. Ogni volta che perdo mi chiedo perché non ho vinto e lei vorrebbe ammazzarmi. Mi ricorda sempre che ho ottenuto il decuplo di tanti miei avversari e che dovrei prenderla più alla leggera, senza rimettere tutto in discussione”. Melissa Hoskins, moglie di Rohan Dennis e madre di Oliver nonché campionessa del mondo nel 2015 nell’inseguimento a squadre, ha ragione da vendere. Nonostante debba ancora compiere trent’anni, infatti, Dennis ha un palmarès invidiabile: una tappa al Giro d’Italia, una al Tour de France, due Vuelta a España; due alla Tirreno-Adriatico, tre al Giro di Svizzera, una al Tour Down Under con annessa classifica generale; e ancora, tre edizioni consecutive della prova a cronometro dei campionati australiani e due di quella mondiale – prima di Dennis ci erano riusciti soltanto Rogers, Cancellara e Tony Martin.
Non è tutto. Ci sono altri risultati che potremmo definire collaterali, ma che contribuiscono ad impreziosire una delle bacheche più ricche della storia del ciclismo australiano. Nel 2014 e nel 2015, ad esempio, Dennis è uno dei vagoni del treno della BMC che conquista la medaglia d’oro nella cronometro a squadre dei campionati del mondo; senza dimenticare i due successi consecutivi – una costante, nella carriera di Dennis – nell’inseguimento a squadre ai campionati del mondo su pista e l’argento, sempre nella stessa specialità, alle Olimpiadi di Londra; oppure l’aver indossato almeno una volta la maglia gialla, rosa e rossa, un’esperienza che non capita a tutti; infine, il Record dell’Ora stabilito nel 2015 e rimasto in suo possesso per tre mesi circa.
Essendo nato in Australia nel 1990, Dennis ha impiegato diversi anni per avvicinarsi al ciclismo. In un primo momento, infatti, il suo sport era il nuoto. Era attratto dalle prove più lunghe, tant’è che il suo primo modello sportivo fu Kieren Perkins, il quale ritoccò per ben tre volte il record mondiale dei millecinquecento metri stile libero e nella stessa specialità vinse due ori e un argento olimpici – la quarta medaglia olimpica della sua carriera fu un altro argento nei quattrocento metri stile libero. La carriera di Perkins si articolò negli anni novanta: un giovane nuotatore australiano come Dennis non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Senonché, come succede a tanti altri ragazzi australiani che oggi corrono nel World Tour, il TIP indirizza Dennis altrove. TIP sta per Talent Identification Program, una serie di test che vengono svolti a scuola e che hanno il compito di analizzare le potenzialità sportive dei ragazzi. Chi legge i dati di Dennis crede che lo sport più adatto a lui possa essere il ciclismo. Dennis si avvicina così, curioso e diffidente allo stesso tempo. Decide di sfruttare la bicicletta per incrementare la sua resistenza nel nuoto, ma le sue preferenze cambiano in fretta: tre mesi più tardi abbandona il nuoto e il calcio, al quale giocava di tanto in tanto nel tempo libero, per dedicarsi interamente al ciclismo.
Le Olimpiadi di Rio de Janeiro sono state uno spartiacque della sua carriera. Nel suo immaginario, una medaglia d’oro nella cronometro avrebbe idealmente chiuso un ciclo, quello in cui Dennis si era concentrato perlopiù sulle cronometro e sulle brevi corse a tappe. A rovinargli i piani ci pensò un problema al manubrio, che lo costrinse a cambiare bicicletta e a perdere tutto quello che aveva costruito. Chiuse comunque al quinto posto, a un minuto e dieci da Cancellara e a soli otto secondi dal terzo gradino del podio occupato da Froome. La delusione fu enorme, ma in ogni caso Dennis considerò conclusa la prima parte della sua carriera: il suo interesse si era spostato altrove.
“Si tratta di un processo lungo quattro anni”, spiegava a Cyclingnews nel 2016. “Che vinca o meno un grande giro, l’importante sarà migliorare di volta in volta il risultato. Se le cose andranno così, continuerò su questa strada; altrimenti tornerò a concentrarmi sulle cronometro e sulle brevi corse a tappe. Però voglio provarci: preferisco sacrificare qualche risultato piuttosto che vivere di rimpianti”.
Viene naturale il parallelo con Wiggins: entrambi vittoriosi in pista, entrambi strutturati come dei pistard ed entrambi desiderosi di vincere un grande giro intorno ai trent’anni. Dennis per primo, in un’intervista concessa a Cyclist nel 2016, affermava che “se Wiggins ha vinto un grande giro, allora posso riuscirci anch’io”.

I risultati sono stati incoraggianti soltanto a metà. Per Dennis la terza settimana ha continuato ad essere un’incognita. Capitani come Porte e van Garderen, d’altronde, non possono insegnare molto a riguardo. Tra il 2017 e il 2018, Dennis ha inanellato tre ritiri: Giro d’Italia 2017, Vuelta a España 2017 e Vuelta a España 2018.
Soltanto al Giro d’Italia 2018 ha lasciato intravedere qualcosa di interessante. Al termine della diciottesima tappa, Dennis occupava il settimo posto della classifica generale. Se il giorno dopo, andando verso Bardonecchia, Froome non avesse deciso di rivoltare la corsa come un calzino, rendendo infernale una tappa già di per sé durissima, probabilmente Dennis avrebbe potuto lottare per rimanere tra i primi dieci. E invece le fatiche della diciannovesima tappa le scontò nella ventesima, conclusa a quaranta minuti da Froome e Dumoulin. Il sedicesimo posto finale rimane comunque il suo miglior piazzamento nella classifica generale di un grande giro.
Il 2019 sarebbe dovuto essere il terzo dei quattro anni che Dennis si era dato per sondare le proprie possibilità nei grandi giri. Visto che la BMC avrebbe cessato la sua attività, Dennis aveva scelto la Bahrain Merida per continuare il suo apprendistato.
Una situazione delicata
Chi conosce bene Rohan Dennis si dice sicuro di poterlo descrivere in tre parole: talentuoso, professionale, suscettibile. Alcuni suoi ex compagni di squadra, la cui identità non è mai stata rivelata, arrivarono addirittura a dichiarare che Dennis aveva dei problemi e necessitava di un aiuto. Persino Manuel Quinziato, suo compagno ai tempi della BMC, provò ad indirizzarlo nella giusta direzione con alcuni insegnamenti buddisti, ma in cambio ricevette un’attenzione poco più che formale.

Rohan Dennis non ha niente di diverso rispetto a tanti altri sportivi: è esigente e meticoloso, prima di tutto con sé stesso e di conseguenza anche con chi lo circonda; sa di avere a disposizione un talento più unico che raro, dunque digerisce a fatica le sconfitte; non riesce ad aggirare il problema, a chiudere un occhio, a far finta di niente. Un tecnico che vuole trarre il massimo da Dennis deve avere molta pazienza e un’approfondita conoscenza della psicologia sportiva.
“Ad infastidirmi non sono i problemi più complessi”, spiegava a Procycling nel 2018. “Cerco di scordare in fretta ciò che non posso comandare né prevedere. Ad infastidirmi sono le problematiche più piccole, le più stupide; quelle che potrebbero essere evitate con un pizzico d’attenzione e collaborazione in più. Ecco, se c’è una cosa che non sopporto è non essere ascoltato e poi dover constatare che è successo quello che lamentavo”. Insomma, i consigli buddisti di Quinziato non sembrano fare per lui. “Non riesco a girare intorno alle cose. Se c’è un problema devo risolverlo, toglierlo dalla mia strada e continuare sulla stessa, non cambiarla”.
Ci sono almeno due episodi la cui interpretazione può aiutare a muoversi nell’imprevedibile sistema delle reazioni di Rohan Dennis. Il passaggio dalla Garmin alla BMC nel bel mezzo dell’estate del 2014, ad esempio. Che un corridore del World Tour cambi squadra nel mese di agosto è un fatto abbastanza inusuale, a maggior ragione se l’atleta in questione ha ventiquattro anni, è alla seconda stagione tra i professionisti ed ha corso con regolarità fino a quel momento. Dennis non sentì questioni: Allan Peiper, l’unico direttore sportivo col quale si era instaurato un rapporto vero e proficuo, si era trasferito alla BMC e allora doveva necessariamente seguirlo.

Il secondo episodio, invece, riguarda un paio di dichiarazioni sul doping rilasciate in momenti diversi della sua carriera. La prima arrivò nel 2013, quando Dennis era un neoprofessionista imberbe e promettente:
“È un bene che siano scoppiati tutti questi scandali, probabilmente la cosa migliore che potesse succedere. Anzi, si toccherebbe la perfezione se tutti i dopati confessassero nello stesso giorno, così da poter ricominciare da capo una volta per tutte”.
Sono parole forti, per un ventitreenne neoprofessionista. In più, la squadra per cui correva all’epoca dei fatti era la Garmin, una delle più coinvolte e chiacchierate: Vaughters, Danielson, Zabriskie, Vande Velde, Dekker, Millar ne avrebbero fatto volentieri a meno.
L’altra dichiarazione è più recente, datata 2018, ma il tenore pressappoco è lo stesso. Al giornalista di Procycling che gli chiese come mai amasse tanto l’aspetto scientifico, Dennis rispose molto semplicemente che dei numeri apprezzava la trasparenza: fungono da parametri e riferimenti, e se sono migliori di quelli degli altri allora ci sono buone possibilità di vincere. “E non mi parlate di spettacolo. Quella è roba da anni novanta. Se in salita scatti e attacchi in continuazione, c’è un motivo. Per chi vuole lo spettacolo a tutti i costi, su YouTube si dovrebbero trovare parecchi video degli anni novanta”.
Se a questo aggiungiamo l’ambiente della Bahrain Merida, la situazione non può che complicarsi. Per essere nata da un anno all’altro, la Bahrain Merida ha raccolto degli ottimi risultati, ma in più occasioni è sembrata incapace di mantenere l’armonia necessaria per puntare agli obiettivi più prestigiosi. Anche Nibali si è lamentato a più riprese, arrivando a dichiarare ai giornalisti presenti al primo ritiro siciliano della Trek-Segafredo che del passato non voleva più parlare, dato che con l’ambiente non si era lasciato bene.

Il rapporto tra Dennis e la Bahrain Merida si è rivelato teso e nervoso fin dal principio. In primavera pare che l’australiano sia quasi arrivato alle mani con un compagno. Nel mese di aprile, Dennis avrebbe dovuto correre soltanto un paio di giorni sulle Ardenne; poi è stato dirottato ai Paesi Baschi e al termine della seconda tappa ha fatto i bagagli e si è ritirato, spiegando che aver corso due giorni in Spagna equivaleva a correrne due sulle Ardenne, dunque non c’era niente di cui discutere.
Dopo una prima parte di stagione piuttosto insipida, al Giro di Svizzera arrivano i primi segnali incoraggianti: Dennis vince la cronometro inaugurale, chiude tra i primi sei le ultime tre tappe e chiude al secondo posto della classifica generale a diciannove secondi da Bernal, il quale un mese più tardi avrebbe vinto il Tour de France. Anche Dennis corre il Tour de France tre anni dopo l’ultima volta. Che possa rimanere a lungo in classifica generale appare improbabile, e infatti non ci prova nemmeno. La sua attenzione è puntata sulla tredicesima tappa, la cronometro di Pau, l’unica individuale del Tour de France 2019. Peccato che non ci arrivi nemmeno.
A ottanta chilometri dall’arrivo della dodicesima tappa, la Tolosa-Bagnères de Bigorre, è posto il primo rifornimento. Quando l’ammiraglia di Gorazd Štangelj, uno dei direttori sportivi della Bahrain Merida, passa da quella zona, rimane di sasso: Rohan Dennis è sceso dalla sua bicicletta e sta per entrare nell’altra ammiraglia della squadra. Quando un corridore smonta dalla sua bicicletta ed entra in una delle ammiraglie della squadra, significa una cosa sola: che si sta ritirando.

Ed è quello che succede. Štangelj non può tornare indietro perché incapperebbe in una multa e metterebbe in serio pericolo i mezzi al seguito. Può soltanto mettersi in contatto con l’altra ammiraglia. Quando gli passano Dennis, lui si limita a rispondere che non vuole parlare. Insieme a quello successivo di Pinot, sono i due abbandoni più incredibili e inaspettati nella storia recente del Tour de France.
Geoffrey Pizzorni, uno degli addetti stampa della Bahrain Merida, vive dei quarti d’ora surreali. Dennis raggiunge il traguardo in macchina, sale sul bus insieme al suo manager, Andrew McQuaid, e scoppia a piangere. “Una volta salito sul bus, era inconsolabile: era confuso e deluso, piangeva ma non apriva bocca”, ci ha raccontato Pizzorni in un secondo momento. “È stata un’esperienza davvero unica nel suo genere: la tappa doveva ancora terminare, io ero chiuso nel bus con Dennis e il suo manager e fuori c’era un esercito di giornalisti e tifosi che aspettava soltanto un nostro segnale”. Quando Dennis e McQuaid escono, non rilasciano nessuna dichiarazione.
La vittoria di Simon Yates passa in cavalleria. A tenere banco è il ritiro di Dennis. Perché lo ha fatto? “Bella domanda”, dice Stangelj ai giornalisti. “Non lo sappiamo nemmeno noi, siamo rimasti di sasso, è successo all’improvviso e non ci ha dato spiegazioni”. E dire che nelle prime battute di gara Dennis stava anche lottando per entrare nella fuga. Qualcuno racconta d’averlo visto discutere animatamente con l’ammiraglia. Forse gli è stato chiesto di svolgere un ruolo inadatto ad un corridore del suo calibro? Stangelj rigetta le accuse: “Non chiederei mai ad uno come lui di andare in su e in giù per distribuire la borracce. Anzi, eravamo d’accordo che ieri e oggi avrebbe dovuto spendere il meno possibile in vista della cronometro di domani”.

A proposito della cronometro, iniziano a trapelare indiscrezioni sempre più scomode. Pare che Dennis e la Bahrain Merida fossero in rotta sull’equipaggiamento fin dall’inizio della stagione. Nonostante ingenti investimenti nei mezzi, negli accessori e nella galleria del vento, Dennis era diffidente. Arrivò persino a minacciare la squadra di disertare un impegno coi media se non gli avessero fatto avere le protesi che Dennis aveva visto usare a Victor Campenaerts. Orla Chennaoui, una giornalista di Eurosport, avrebbe raccontato in un secondo momento della tensione palpabile che lei e i suoi colleghi avevano riscontrato alla partenza di Tolosa tra Dennis e lo staff della squadra.
La situazione viene archiviata con un comunicato nel quale Dennis augura il meglio ai propri compagni, ringrazia il Tour de France e spiega che ritirarsi è stata la cosa giusta, “dato che il mio stato d’animo non è dei migliori”. Nessun problema fisico, nessun malanno. Alla vigilia dell’unica cronometro individuale del Tour de France 2019, il campione del mondo delle prove contro il tempo si ritira senza fornire spiegazioni precise.
Il divorzio tra la Bahrain Merida e Rohan Dennis viene ufficializzato il 13 settembre, ma annunciato soltanto dopo la vittoria di Dennis nella cronometro mondiale di Harrogate, “così da non convogliare l’attenzione pubblica su di lui e permettergli di allenarsi in serenità”, recitava il comunicato della squadra. A Watts Occurring, il podcast condotto da Geraint Thomas e Luke Rowe, Dennis è tornato sulla vicenda: “Non era l’ambiente giusto per me e il mio malessere stava condizionando anche la mia famiglia. Non potevo permetterlo, per questo ho deciso di cambiare”.
Al momento del ritiro dal Tour de France, Rohan Dennis è a pezzi. Voleva partecipare alla Vuelta, ma per ovvie ragioni – il suo stato, la delusione della Bahrain Merida – non andrà in Spagna. Gli rimane un solo obiettivo: difendere il titolo di campione del mondo nelle prove contro il tempo. I due mesi che intercorrevano tra l’abbandono alla Grande Boucle e la cronometro mondiale sono stati definiti dallo stesso Dennis “i più duri della mia vita”.

Sono ancora qui
Le doti di Rohan Dennis nelle prove contro il tempo sono indiscutibili. Le quattro vittorie conquistate nei grandi giri sono arrivate in quattro cronometro individuali. Il successo in quella inaugurale del Tour de France 2015 fu storico. Non soltanto la maglia gialla, ma anche la media più alta mai fatta registrare in una cronometro individuale del Tour de France: 55,446, qualcosa in più rispetto al precedente record stabilito da Boardman nel 1994. Se la BMC ha attraversato un periodo d’oro nella cronosquadre, buona parte del merito va a Dennis, metronomo imprescindibile.
Anche il Record dell’Ora è un primato importante, nonostante nelle ultime stagioni sia stato ritoccato spesso e volentieri. Dennis percorse 52,491 chilometri, demolendo il record precedente di Brändle. Il velodromo scelto fu quello svizzero di Grenchen, fatto costruire dal patron della BMC, Andy Rhis, proprio davanti agli stabilimenti dai quali uscivano le biciclette. La TrackMachine TR01, la bicicletta creata appositamente per il tentativo, venne definita Wind Enemy, “la nemica del vento”. Oltretutto, Dennis scese in pista a febbraio, avendo disputato soltanto il Tour Down Under e avendo programmato l’evento soltanto a metà dicembre.
Non si possono avere dei dubbi sulle qualità di Dennis nelle cronometro. In caso contrario basta richiamare alla mente lo sconforto che colse Dumoulin sul traguardo di Innsbruck, quando nonostante una prova di tutto rispetto si ritrovò secondo a un minuto e ventuno da Dennis. Nemmeno la Bahrain Merida ne aveva, altrimenti non si arriva secondi al Giro di Svizzera a due settimane dal Tour de France. Il problema di Dennis, dunque, non è fisico. Il ragazzo è in forma e sta bene. E allora di nuovo, perché si è ritirato? Perché a volte la testa decide per noi e stacca la spina senza che nessuno gli abbia dato il permesso.

David Spindler è uno psicologo che lavora quasi esclusivamente coi ciclisti professionisti. La sua base è Andorra, la stessa alla quale si appoggia Dennis quando è in Europa. Dietro la rinascita dell’australiano c’è la sua mano. In una bella intervista a Cyclingtips ha ripercorso le tappe che hanno fatto ritornare Dennis il campione che conosciamo. Prima di tutto, ha guidato da Andorra a Pau per riprenderlo e riportarlo a casa, dopo aver chiarito la questione con la Bahrain Merida. Dopodiché, si è chiesto in che modo avrebbe potuto rimettere in carreggiata un ragazzo che non aveva nessun problema fisico ma che, al contrario, stava facendo registrare i numeri migliori della sua carriera.
Punto primo: azzerare lo stress. Come si fa? “Gli ho detto di cancellare i suoi profili sui social network, intanto. Leggeva tutto quello che si diceva di lui, offese e cattiverie incluse. Gli ho fatto capire che i social network non importano poi molto e che il divertimento, di cui aveva assolutamente bisogno, lo avrebbe trovato altrove”. Punto secondo: il divertimento, appunto. Ma come può divertirsi un ciclista professionista in una situazione del genere?
“Circondandosi delle persone più importanti: sua moglie e suo figlio. E non pensate che si divertisse a cuor leggero: il ritiro dal Tour de France continuava a pesare come un macigno”.
Punto terzo: lasciar perdere il passato. “Non gli ho mai chiesto cos’è successo al Tour de France, non era mio diritto infastidirlo e sinceramente non m’interessava nella maniera più assoluta. Mi bastava conoscere il suo stato fisico e mentale e partire da lì”.

Nella conferenza stampa del vincitore, ancora al settimo cielo per aver confermato d’essere il cronoman più forte del mondo, Dennis ha ringraziato pubblicamente Spindler e ha ricordato con precisione estrema il giorno in cui ha ritrovato la fiducia nei suoi mezzi: il 15 settembre, dieci giorni prima del successo. Per le settimane immediatamente precedenti all’evento, Spindler ha pensato di creare una bolla intorno a Dennis; una bolla fatta di allenamento, di confronto e di vicinanza. “Intorno a lui c’erano soltanto le persone delle quali aveva bisogno: io, Melissa, Oliver, McQuaid ed Henderson, il suo allenatore. Volevo che sentisse la nostra presenza. Non mi sono limitato a qualche chiamata, ma ho vissuto da lui per due settimane: ascoltavo i suoi sfoghi, aiutavo in casa, davo una mano a Melissa col bambino. In più, anche se normalmente la nostra professione non lo contempla, ho passato su uno scooter accanto a lui ogni allenamento. Dovevo vederlo da vicino e viceversa”.
I risultati si sono visti: a oltre due mesi dall’ultima corsa, vale a dire dal ritiro del Tour de France, Dennis ha annichilito la concorrenza. Ha rifilato oltre un minuto ad Evenepoel, quasi due a Ganna, due e mezzo a Tony Martin, quasi tre a Campenaerts. Roglič, affaticato dalla Vuelta, ha usato Dennis come punto di riferimento quando l’australiano lo ha ripreso. Tuttavia, Dennis non ha concesso a Roglič di arrivare prima di lui e in una sorta di volata lo ha anticipato. Il distacco è stato impietoso: tre minuti esatti. L’esultanza è una sorta di manifesto: testa alta, cinque colpi con l’indice destro sulla tempia coperta dal casco e i denti stretti che amplificano l’urlo interiore.

“Sono qui per restarci”, ha continuato Dennis in conferenza stampa dopo aver ringraziato Spindler. “Sono qui per continuare a vincere e per provare a diventare ancora più forte, il migliore del mondo. Non andrò da nessuna parte. Non voglio rimanere quassù soltanto per un anno, ma il più possibile”. Dopo la vittoria, come detto, la Bahrain Merida ha annunciato la separazione. Chi ha un po’ d’occhio se n’era già accorto: Dennis ha corso con una BMC nera e con un casco Kask, non con una Merida e un casco Rudy Project.
Il 2020 di Rohan Dennis si preannuncia interessante. Ha già dichiarato di voler riprendere il Record dell’Ora e di puntare tantissimo sulla cronometro delle Olimpiadi, l’obiettivo principale della sua stagione. Deve vendicare il quinto posto e la sfortuna del 2016, approfittando dei suoi anni migliori: nel 2024 ne avrà trentaquattro, un’età in cui essere competitivi non è automatico. “Dopo Rio de Janeiro, tutti mi dicevano di farmi forza e di aspettare Tokyo”, raccontò nel 2018. “Già, ma chi può sapere se sarò in forma, se potrò partecipare, se non sarò malato oppure infortunato? Magari non parteciperò a nessun’altra Olimpiade, magari nel 2020 avrò già smesso di correre. Chi può sapere cosa succederà domani?”.
Foto in evidenza: ©País do Ciclismo, Twitter