Segnata per sempre dall’infanzia verde e da Phinney, non si pone limiti.
Katarzyna Niewiadoma non conosce mezze misure. Quando qualcuno si permette di farle notare che la corsa sembra cucita su misura per lei, finisce per arrabbiarsi, caricarsi di troppe responsabilità e scomparire. A volte, rincara forse esagerando, vorrebbe che la corsa andasse male per provare che le previsioni degli altri erano sbagliate.
Quando invece è in giornata, è un fiume in piena. Non sa cosa siano parsimonia e tattica, le energie che le sono rimaste le quantifica bruciandole. “Sembra che attacchi per far male a se stessa, più che alle rivali”, affermò sbigottito Barry Austin, uno dei suoi direttori sportivi alla Canyon-SRAM.
Niewiadoma ha spiegato più volte che voler ricollegare il suo modo di correre ad un particolare evento che può averla forgiata è semplicemente inutile. “È natura, sono fatta così fin dalla nascita: è una caratteristica innata, ecco”, dice quasi giustificandosi. Crescere nella Polonia rurale, tra natura e umanità, non può comunque non avere influito.
Su una bici da corsa con intenti guerriglieri ci salì per la prima volta a quindici anni, era una corsa alla quale partecipare in coppia: suo padre le fornì il mezzo, sapendo che data la sua competitività non avrebbe certo rifiutato. Fino ai diciassette anni, però, il ciclismo non riuscì a incrinare quella voglia di libertà che hanno gli adolescenti. Quando gli dei scoccarono la freccia, Niewiadoma fu accolta da Zbigniew Klęk, il primo a intravedere del talento in Majka. Klęk, vedendo la ragazza sconfiggere i maschi nelle prove contro il tempo, avrà pensato di avere veramente un buon intuito.
In Niewiadoma, infatti, il carattere va di pari passo col talento. Finita tra le prime dieci del Giro d’Italia nelle ultime quattro edizioni, il suo ruolino di marcia nelle classiche preannuncia un futuro roseo: in carriera è giunta tre volte consecutive seconda alla Strade Bianche e terza quest’anno, terza alla Liegi-Bastogne-Liegi e alla Freccia Vallone, prima alla Amstel Gold Race.
Nel 2013, a soli diciannove anni, la sensazione di avercela fatta: un periodo di prova con la Rabobank. A tavola era circondata da campionesse assolute: Guarnier, Ferrand-Prévot, van Vleuten, van der Breggen. La Vos, soprattutto, alla quale Niewiadoma viene costantemente accostata.
Prima di portare l’attacco decisivo che le è valso il Trofeo Alfredo Binda 2018, Niewiadoma sognava di ripetere quanto fatto da Nibali a Sanremo ventiquattr’ore prima; pensava poi alle parole di Connie Carpenter, medaglia d’oro olimpica nonché madre di Taylor Phinney (che ha influenzato tantissimo la ragazza, insegnandole il potere rilassante del disegno e a impiegare il tempo libero in maniera sana e produttiva), quindi suocera in pectore della giovane polacca. “Quando attacchi, non dovresti mai voltarti”, le disse la donna.
Niewiadoma, che è una dura e che ha indicato come sensazione più bella quella di pedalare in salita senza pensare a nulla, ha eseguito alla perfezione. Se fosse una fatalista, Niewiadoma non sarebbe una sportiva di altissimo livello: “niewiadomy”, infatti, in polacco significa sconosciuto. Niewiadoma, invece, è perfettamente riconoscibile. Ha riscritto il suo destino, continuerà a correre e vincere per smentire il suo stesso cognome.
Foto in evidenza: ©Caffè&Biciclette