Non c’è Gino senza Giovanni, non c’è Bartali senza Valetti.
Prima di Fausto Coppi ci fu un altro corridore capace di lottare ad armi pari con il Gino Bartali degli anni d’oro. Un torinese dal fisico slanciato e dalla statura decisamente superiore alla media dell’epoca. Un uomo cresciuto in fabbrica, proletario nell’animo, taciturno e umile, ma allo stesso tempo decisamente coraggioso: Giovanni Valetti.
Valetti vantava doti di recupero sontuose ed eccelleva sia sul passo che in salita. Possedeva una forza erculea e non temeva alcuna condizione atmosferica. Il suo punto debole era lo spunto veloce: allo sprint era battuto pressoché da chiunque. Motivo per cui si orientò ben presto verso quelle corse a tappe che erano il suo naturale terreno d’elezione.
Giovanni amava fare l’operaio. Non rinnegherà mai le sue origini. Prima di iniziare la carriera da atleta lavora presso la fabbrica della Lancia di Torino. Una volta ritiratosi, invece, si farà assumere in Fiat. In bici, però, si trasforma. Su quel destriero di metallo Valetti è elegante come un principe. Pedala leggiadro e sulla sella non si muove neanche di un millimetro. È un corridore sublime, uno dei più forti passisti-scalatori di tutti i tempi.
Nato il 22 settembre 1913, acquista la prima bicicletta a sedici anni. Inizia a correre come dilettante nel 1931. In poco tempo diventa uno dei nomi di spicco della scena locale. Nel 1933 arriva il primo successo di pregio: il neonato Giro del Lazio. All’epoca la nota corsa dell’Italia centrale, oltre a essere riservata ai corridori della categoria antecedente al professionismo, non era una gara in linea, bensì a tappe.
L’anno seguente, però, non va altrettanto bene. Quella stagione è antesignana di ciò che vedremo più avanti. Alla fine del 1933 Giovanni viene contatto dai fratelli Guelfi, costruttori delle biciclette Frejus. L’intenzione è quella di farlo passare professionista nel 1935. Valetti non firma alcun contratto, ma evidentemente pensa che sia solo questione di tempo. Privo di grosse motivazioni, dunque, non si impegna e il 1934 è un disastro.
È come se Giovanni abbia bisogno di stimoli per elevare il suo livello in bicicletta. Se non li ha, tende a non performare. Alla fine di quell’annata, però, la Frejus cambia idea e non gli fa alcuna offerta. Preferiscono arruolare un giovanissimo toscano: Gino Bartali. È il momento della svolta per Valetti.
Tutta la carriera di Valetti sarà incentrata nell’inseguire Ginettaccio. L’Uomo di Ferro è la sua lepre. Quando nel 1935 Giovanni vince il titolo piemontese riservato ai dilettanti, Bartali lo oscura conquistando quello dei professionisti. A fine stagione il toscano cambia sodalizio e si accasa alla Legnano. La Frejus, così, decide di ripiegare proprio sul torinese.
Per qualche bizzarro scherzo del fato, i destini di Bartali e Valetti sono e saranno sempre destinati a intrecciarsi. La vita ciclistica del piemontese si sviluppa all’ombra di quella del toscano. Nel suo cuore il torinese cova il desiderio di superare, prima o poi, il rivale. Non c’è Giovanni senza Gino. Tutta la sua carriera vivrà su quella fiamma che arde dentro di lui.
Nel 1936 Giovanni prende parte al suo primo Giro d’Italia. Dopo otto giorni tranquilli, la corsa divampa nella nona tappa, la Campobasso-L’Aquila di 204 chilometri. Bartali attacca sulla salita di Rionero Sannitico e fa il vuoto. In seguito a un entusiasmante cavalcata solitaria, Ginettaccio ottiene il successo parziale con 6’12” di vantaggio su una coppia composta da Cesare Del Cancia, il quale agguanta il secondo posto, e dallo stesso Valetti. Ovviamente il toscano è anche la nuova maglia rosa.
Ginettaccio, da quel momento in avanti, gioca per lo più sulla difensiva. Per gran parte del Giro si limita a parare i colpi di uno straordinario Giuseppe Olmo, che alza le braccia al cielo in dieci tappe e si dimostra il più forte a cronometro e in volata. Alla fine, ad ogni modo, conquista anche la terzultima e la penultima frazione, oltre ovviamente alla sua prima Corsa Rosa. Valetti è quinto a 14’15”. Quello del torinese è un risultato strepitoso. Parliamo di un ragazzo neanche ventitreenne capace di arrivare tra i primi cinque in una corsa di tre settimane. C’è solo un atleta più giovane di lui tra i primi dieci: il ventunenne Gino Bartali.
Bartali lo stende ogni volta. Dinnanzi a quell’Uomo di Ferro, il taciturno proletario torinese deve sempre chinare il capo. Ma nel profondo del suo animo Giovanni sa che può batterlo. E lo vuole sconfiggere sul palcoscenico principe del ciclismo del belpaese: il Giro d’Italia. Le altre corse a Valetti praticamente non interessano. Si, è vero, non è veloce e dunque le gare in linea può vincerle solo staccando tutti. Impresa ardua. Ma in realtà neanche ci prova. Sovente nei suoi anni d’oro nemmeno si presenta alla Milano-Sanremo o al Giro di Lombardia.
Dopo aver passato un anno a escogitare una strategia per battere Bartali, Valetti si presenta al via del Giro d’Italia del 1937 in grandissima forma. Nella terza frazione, l’Acqui Terme-Genova di 158 chilometri, Giovanni entra in una fuga a tre con Mario Vicini e Marco Cimatti. Nel finale si sbarazza dei due rivali e ottiene il suo primo successo tra le strade della Corsa Rosa. Con esso arriva anche la testa della classifica generale. Bartali giungerà al traguardo a 2’30”.
Appena due giorni più tardi, però, Bartali sfila il simbolo del primato a Valetti grazie alla prestazione devastante della Legnano nella cronosquadre di 60 chilometri da Viareggio a Marina di Massa. Il toscano, ora, ha 54″ di margine sul torinese. Ma la maglia rosa resta sulle sue spalle per poche ore. Quel giorno, infatti, si tengono due semitappe e al pomeriggio, dunque, va in onda la Marina di Massa-Livorno di 114 chilometri. Sarà terreno di imboscate all’Uomo di Ferro e Giovanni riesce a guadagnare circa 1’30” sul rivale.
Il duello tra i due si fa incandescente. Il 16 maggio si svolge la cronoscalata del Terminillo. Bartali vola sulla salita laziale. Dà sfoggio delle sue grandissime doti di grimpeur e stravince. Valetti è terzo a 1’03” e per appena 20″ deve ricedere la maglia rosa alla sua nemesi. Tre giorni più tardi, nella Napoli-Foggia di 166 chilometri, Ginettaccio rifila un altro jab al rivale. L’Uomo di Ferro attacca sul Monte Irpino e si leva tutti di ruota. Conquista il successo con 1’12” su un gruppo di cinque atleti dei quali fa parte anche Valetti.
Il dì seguente, nella tortuosa seconda semitappa di giornata, la San Severo-Campobasso di 105 chilometri, Gino piega nuovamente Giovanni. Il toscano attacca con Cesare Del Cancia e fa il vuoto. Al traguardo lascia la vittoria al compagno di fuga, accontentandosi di guadagnare altri 2’08” sul suo primo inseguitore.
All’indomani, tuttavia, è Valetti a infliggere un duro colpo a Bartali. Durante la Campobasso-Pescara di 258 chilometri il gruppo si spezza e Bartali, il quale è bene ricordare che ha poco meno di ventitré anni, si fa trovare impreparato. Resta nelle parte sbagliata del plotone e lascia sul piatto 1’05”. Ora, nella graduatoria generale, il torinese si trova a 2’40” dall’avversario. Il terzo, Del Cancia, è a 9’30”. A una settimana dalla fine, la Corsa Rosa è un discorso tra quei due giovanissimi che il fato ha deciso dover essere in continuo contrasto.
La situazione resta paralizzata fino alla sedicesima tappa, la prima frazione dolomitica della storia: 227 chilometri da Vittorio Veneto a Merano. Bartali attacca sul Rolle e stacca tutti. Poi prosegue nella sua cavalcata e spiana anche il Costalunga. Vince con 5’38” di vantaggio su un terzetto comprendente Valetti, Enrico Mollo e Walter Generati. Metterà, oltretutto, la ciliegina sulla torta fulminando tutti allo sprint nella Merano-Gardone Riviera del giorno seguente.
Bartali conquista la Corsa Rosa con 8’18” di vantaggio su Valetti. Il piemontese ha dato tutto, ma l’Uomo di Ferro l’ha disarcionato facilmente sulle salite più dure. Giovanni non può fare altro che continuare a macerarsi sul perché non riesca mai a mettere la sua ruota davanti a quella di quel toscanaccio al quale spuntano le ali ogni volta che la strada s’inerpica.
Nel 1938 Bartali non si presenta al Giro d’Italia. Il regime fascista l’ha costretto a disertare la corsa di casa per concentrarsi sulla Grande Boucle. Il toscano, peraltro, avrebbe potuto vincere il Tour de France già l’anno prima. Era saldamente in maglia gialla quando la dea bendata, colei che più di Coppi e Valetti l’ha ostacolato durante la sua carriera, l’ha spinto nelle acque gelide di un torrente. Mussolini e i suoi accoliti, che già sono ai ferri corti con la Francia, ardono al sol pensiero del tricolore che sventola in terra nemica. La rivincita di Giovanni, per loro, può aspettare.
Come Valetti abbia preso l’assenza del toscano non è dato saperlo. Al torinese esprimersi a parole non piace. Lascia che siano le sue gesta in bicicletta a raccontare i suoi pensieri. Il modo in cui impone il suo dominio nella Corsa Rosa del ’38, tuttavia, ci fa immaginare che provi anche un po’ di rabbia all’idea di non poter regolare i conti con quel rivale che, ormai da un lustro, è sempre un passo avanti a lui.
Il Giro non inizia granché bene, ad ogni modo. Nella seconda frazione, la Torino-Sanremo, una fuga guadagna 8’41” sul plotone. Dopo tre giorni Valetti si trova a 9′ dalla maglia rosa, Cesare Del Cancia. Nel quarto dì, però, da il là alla sua rimonta. In programma ci sono due semitappe. La più dura è la prima, la Santa Margherita Ligure-La Spezia di 81 chilometri. Il piemontese attacca sulla salita del Bracco e fa il vuoto. Rifila 1’45” al gruppo del leader.
Nella cronoscalata del Terminillo, prima semitappa del settimo giorno, in quel teatro ove l’anno prima Bartali lo aveva annichilito, Giovanni sferra il secondo gancio ai rivali. Vince per pochi centesimi di secondo sul giovane Giordano Cottur, ma infligge distacchi consistenti a tutti gli altri. In classifica generale, ora, è quinto a 3’19” da Del Cancia.
Il sorpasso avviene due giorni più tardi, nella Napoli-Lanciano di 221 chilometri. Giovanni attacca con Cottur sulla salita di Rionero Sannitico e nessuno li riacciuffa più nei restanti 120 chilometri. Giungono alla meta con 4’46” sui primi inseguitori. Il piemontese torna a vestire la maglia rosa.
Valetti, in seguito, dà il colpo di grazia nel tappone dolomitico di 249 chilometri che da Belluno va a Recoaro Terme. Giovanni fa il vuoto sul Pian delle Fugazze e rifila distacchi siderali a tutti gli altri. Ezio Cecchi è secondo a 1’46”, Settimo Simonini è terzo a 3’11”, Giuseppe Martano è quarto a 5’46”. Dal settimo in poi subiscono un passivo superiore ai dieci primi.
Da quel momento in avanti Giovanni si limita a difendersi. A Milano quell’umile proletario torinese vince il suo primo Giro d’Italia con 8’52” di vantaggio su Ezio Cecchi. Le malelingue, però, non esitano un attimo ad asserire che abbia trionfato solo per via dell’assenza di Bartali.
Ad agosto, ad ogni modo, Valetti dà un altro saggio del suo valore diventando il primo italiano a vincere il prestigioso Tour de Suisse. In quell’edizione della corsa elvetica, il torinese conquista la terza e la quarta frazione, quest’ultima infliggendo più di 3′ a tutti dopo 130 chilometri di fuga solitaria tra San Gottardo e Furka. Agguanta il trionfo finale con 12’44” di vantaggio sul secondo classificato, il lussemburghese Arsène Mersch.
Il 1939 è la stagione del duello definitivo con Gino Bartali. Il toscano e il piemontese, infatti, si affrontano in una sfida epica al Giro d’Italia. Un match senza esclusione di colpi, una Rumble in The Jungle in salsa ciclistica. La maglia rosa contro la maglia gialla. Il grimpeur per eccellenza faccia a faccia con un passista-scalatore sensazionale.
La gara inizia nel segno dell’Uomo di Ferro. Gino nella seconda tappa, la Torino-Genova di 226 chilometri, va all’attacco con Cino Cinelli e Mario Vicini e li fulmina in volata. La maglia rosa è subito sua, Valetti lascia sul piatto oltre 3′. Giovanni, però, ha dalla sua un’arma che a Bartali manca: l’acume. Il giorno seguente, nella Genova-Pisa di 187 chilometri, va via una fuga di dieci atleti. Il piemontese è tra essi, il toscano no. L’Uomo di Ferro perde 7’02” dal rivale. Ora il torinese ha 1’30” di vantaggio sulla sua eterna nemesi.
Valetti dà un altra spallata a Bartali nella cronoscalata del Terminillo. I due, rispetto alla concorrenza, fanno un altro sport sulle rampe dell’erta laziale. Giovanni, però, stavolta ne ha di più e piega il rivale, relegandolo al secondo posto a 28″. Il terzo, Michele Benente, giunge a 1’38”. Nella seconda semitappa del nono giorno, la Forlì-Firenze di 107 chilometri, Ginettaccio ottiene il successo parziale in volata, ma il piemontese sfila la maglia rosa a Secondo Magni. I due, nella graduatoria generale, sono separati da 1’50”.
Il 13 maggio 1939 si tiene una cronometro di 40 chilometri da Trieste a Gorizia. Il proletario Giovanni, che nelle prove contro il tempo è un sultano, dà nuovamente una sonora lezione a tutti. Stravince con 52″ di margine sul secondo, Olimpio Bizzi. Bartali è nono a 2’09”. La forbice tra i due, con Gino che intanto ha agguantato la seconda piazza, si apre ulteriormente e raggiunge i 3’59”.
Nella Cortina d’Ampezzo-Trento di 258 chilometri, Bartali ribalta il Giro. Sul passo Rolle attacca a ripetizione Valetti e lo manda in crisi. Ginettaccio vince la tappa regolando allo sprint altri cinque atleti. Giovanni arriva dopo 7’48”. Il toscano si riprende la maglia rosa e guida la graduatoria generale con 3’49” di vantaggio sul suo antagonista per eccellenza.
Sembra finita, ma il giorno seguente, in una giornata da tregenda, nella Trento-Sondrio di 166 chilometri, succede il finimondo. Pronti via e Valetti attacca col compagno Olimpio Bizzi. Bartali risponde presente. A Cles, però, quella dea bendata che di rado lascia tregua a Bartali colpisce. Il toscano fora e i due delle Frejus scappano via.
Più avanti fora anche Giovanni, ma Bizzi è lesto a passargli la ruota. Mentre la pioggia si trasforma in neve, Valetti vola via, plana sulla salita dell’Aprica e al traguardo rifila 6’48” a un Bartali che pare abbia forato di nuovo, poi sia caduto e infine sia anche anche andato in crisi a causa del freddo. Il Giro è suo. Dopo un lustro passato a inseguire Bartali, finalmente è riuscito a superarlo.
La Trento-Sondrio del Giro d’Italia 1939 è una di quelle frazioni di cui si è scritto tutto e il contrario di tutto. Ognuno ha una sua versione. È stata romanzata oltremodo e solo i suoi protagonisti sanno com’è realmente andata. Per battere Bartali nel fiore degli anni in una corsa a tappe era indubbiamente necessario avere Tyche, la personificazione della fortuna nella mitologia greca, al proprio fianco. Ne ebbe bisogno anche Coppi al Giro d’Italia del 1947. Lo stesso Coppi che, in quella stagione, si prese 40′ dal trentatreenne Bartali al Tour de Suisse (e arrivò quinto, mica centesimo) e che necessitò delle bassezze di Giovanni Tragella per battere il rivale trentacinquenne al Tour de France del 1949.
Per una serie di motivi, la storia stessa non ha mai reso giustizia fino in fondo al corridore Gino Bartali, il quale era addirittura molto più forte di quanto non si racconti. E questo rende ancor più un gigante Valetti stesso. Perché poco conta quante volte forò o quante volte cadde Gino della Trento-Sondrio. Non ha importanza se quel giorno soffrì il freddo oppure no. E non ha nemmeno rilevanza quanto sia stato fondamentale l’aiuto di Bizzi.
Per pensare e mettere in pratica un devastante attacco da distanza siderale contro un Idra sputafuoco quale era il Bartali venticinquenne, devi essere un fenomeno. Un altro si sarebbe accontentato del podio. A maggior ragione dopo che solo il giorno precedente Ginetaccio lo aveva dilaniato con scatti violenti come fendenti di scimitarra.
Ma quell’umile e taciturno proletario torinese aveva una missione. Desiderava superare, almeno una volta nella vita, quell’uomo che era sempre un passo avanti a lui. E ci riuscì nel modo più epico e drammatico possibile. Con una portentosa rimonta tra le cime innevate di quella gara che lui voleva come palcoscenico del suo trionfo: il Giro d’Italia.
Per fare cotanto numero Valetti non ha speso solo le energie che aveva in programma d’usare quel giorno. Ha attinto a tutto ciò che c’era nel suo serbatoio fisico e mentale. In quella fuga Giovanni prosciuga tutto ciò che ha. La sua carriera, praticamente, finirà all’indomani, quando rintuzza gli ultimi attacchi di Bartali sul Ghisallo e porta a compimento il suo destino.
Nel 1940 Valetti ha ventisette anni e passa alla Bianchi con un contratto a dir poco faraonico per l’epoca. Ma in stagione combina poco o nulla, è talmente spento che al Giro d’Italia non entra nemmeno tra i primi dieci. Il sodalizio che sarà di Fausto Coppi lo licenzierà l’anno dopo. Fa qualche gara durante la guerra, prima con la Olmo e poi con la sua storica Frejus, ma senza alcun risultato. Tra il 1946 e il 1948 corre da isolato, ma recita solo il ruolo della comparsa.
La carriera di Giovanni è una delle più singolari nella storia del ciclismo, quasi grottesca. Questo fuoriclasse dal talento divino sembra sia stato concepito al solo scopo di affrontare Bartali. Non esiste Valetti senza Gino. È stato la prima grande nemesi dell’Uomo di Ferro e si è eclissato non appena ha raggiunto quello scopo che fu il motore di tutta la sua vita da corridore: sconfiggere Bartali.
Foto in evidenza: ©The World of Cycling, Twitter