Come un istrionico attore, Boom vuole prendersi sempre il centro della scena
Se Lars Boom avesse potuto, sarebbe diventato un attore. Lo avremmo così conosciuto nei panni di un greaser, ragazzo difficile con addosso un chiodo, il coltello nella tasca e i capelli pieni di brillantina.
Biondo, estroso, poliedrico, con quella mascella da divo del cinema e quel cognome che sembra inventato ad arte, Lars Boom è una delle espressioni più bizzarre del ciclismo contemporaneo. La sua carriera inizia come attore da film western: è il ciclocross. Lui si cala perfettamente nella parte cavalcando un animale adatto al fuoristrada, sfuggendo tra fango, sentieri e sterrati ai dubbi dell’esistenza. È mezzogiorno di fuoco: Boom, Štybar e Albert gli interpreti principali. Il ceco li batte tutti e due nel mondiale Under 23 in Olanda disputatosi nel gennaio del 2006. Boom, bramoso di rivincita, si reinventa così da antagonista a protagonista sia nelle fiction di casa che nelle produzioni mondiali: nei due anni successivi conquista due titoli nazionali e il titolo mondiale prima Under 23 e poi Élite (vinse in passato anche quello junior), dove precederà due grandissimi della specialità come Štybar e Nys.
Ma l’ambientazione gli sta stretta e inizia a recitare anche su strada. Da Under 23 è campione olandese e poi del mondo a cronometro (siamo nel 2007) a dimostrazione di qualità quando c’è da salire su altri palcoscenici. L’anno successivo vince il doppio titolo olandese stavolta tra i grandi, un altro passo verso le statuette più ambite sembra fatto. Passa una stagione, Lars cresce e incrementa i giri del proprio motore: vince il Giro del Belgio e poi a fine stagione riporta l’Olanda a conquistare dopo quattro anni una tappa alla Vuelta di Spagna. Quel giorno Boom recita da attore navigato, si invola insieme a dodici comparse verso il traguardo di Cordoba e li seleziona lungo una salita che si chiama San Jeronimo: un urlo di battaglia e lo scalpo è suo.
Ogni stagione si prende qualche piccola soddisfazione, ma restano sempre recite di secondo piano; quando è chiamato a grandi ruoli, toppa: è un attore che si esprime con difficoltà. Le brevi crono sono il suo genere preferito, quando può sfogarsi sul pavé è Charlie Chaplin nei panni di Charlotte: perfetto ed elegante in un ruolo tagliato su misura.
Nel 2014 vince la tappa del pavé al Tour, quella che incorona Nibali, lui vince su quel traguardo in una giornata che L’Equipe definì “Dantesca” portandosi a casa il premio di miglior attore non protagonista. Il tutto mentre da dietro gli antagonisti arrancano: Froome alza bandiera bianca facendosi cancellare dai titoli di testa, Contador fatica nelle retrovie ritagliandosi uno spazio via via minore, fino al ritiro dalla scena.
Sembra essere finalmente la svolta della carriera, oramai maturo per un grande ruolo, quello che di solito ti cambia una vita e invece la sua carriera rischia di essere un flop al botteghino. Tra 2015 e inizio 2019 vince solo quattro corse: cronometro e classifica finale del Tour of Britain, tappa al Giro di Danimarca e tappa all’ex Eneco Tour tra Belgio e Olanda, la zona che sarebbe dovuta essere la sua Hollywood e che invece lo ha spesso respinto. Quel giorno un azione di forza nel finale lo porta ad anticipare e a resistere al ritorno di un gruppo intriso di divi del cinema come Sagan, Van Avermaet, Gilbert, Naesen, Stuyven, Vanmarcke, Wellens e Dumoulin, contornando tutto con un plateale gesto polemico contro la sua ex squadra, la Jumbo, che è anche il nome che ha dato al proprio cane.
Nel 2015 è al centro di un thriller: prima del via del Tour de France viene trovato con un livello basso di cortisolo, lui è già pronto per partire e l’Astana tra diverse polemiche lo schiera fino alla cronosquadre. Il giorno dopo non parte, dopo aver concluso nelle retrovie del gruppo quasi tutte le tappe. “Dopo il Delfinato mi sentivo poco bene e ho fatto ricorso a degli inalatori per respirare meglio.” È la sua unica battuta.
Non recita quando deve lasciare delle dichiarazioni come nel 2016 dopo il Fiandre, concluso all’ undicesimo posto: “Senza foratura sarei riuscito a seguire Cancellara.” o pochi giorni fa dopo il Grand Prix de Denain vinto da van der Poel: “Ho preso il settore in pavé troppo dietro, altrimenti stavo con lui“.
E non scherza quando si rende protagonista di una scazzottata da b-movie con Preben Van Haecke: “Chiedo scusa a tutti i tifosi, agli organizzatori del Tour of Norway e ai miei colleghi, ma non a Van Haecke: ha cercato di farmi schiantare.” È il 2018 e la sua stagione era iniziata con un intervento al cuore per un’aritmia cardica e si sarebbe conclusa con il titolo europeo alla MTB Beachrace European Championship, corsa sotto il diluvio sulle spiagge vicino casa.
Il 2019, con la maglia della squadra professional olandese Roompot-Charles, è un passo laterale e non indietro – lo definisce lui – dopo undici anni di World Tour: “Sono qui per essere capitano assoluto e protagonista dall’Het Nieuwsblad fino alla Roubaix.” Sempre e comunque al centro dei riflettori.