Nella prima volta del Colle delle Finestre si scrive una pagina indimenticabile.
È passato poco più di un anno dal Giro numero centouno, una corsa che rimarrà per sempre nella Storia, difficile dubitarne. È pressoché impossibile tentennare di fronte ad imprese titaniche, soprattutto se queste avvengono all’interno dei confini nazionali. Non si parla di Iliade o di Odissea, ma di storie più recenti interpretate da eroi fatti di carne e muscoli con volti imperlati di sudore e fatica. Si tratta dell’ambizione di creare qualcosa di epico lungo la strada nel tentativo di scrivere una pagina indimenticabile di ciclismo. Questo è ciò che muove i miti moderni, seduti sulla sella o in piedi sui pedali.
Bisogna possedere talento, determinazione e una mente solida per creare l’impossibile. Tre caratteristiche fondamentali che formano un connubio perfetto nella figura di Chris Froome. Lui che, il 25 maggio 2018, ha deciso di aggiungere al suo stile metodico un goccio di imprevedibilità e un pizzico di pazzia. Il confine tra follia e genialità è davvero sottile e quel giorno l’atleta kenyano ha danzato gioioso in bilico su tale linea immaginaria. Si è regalato un capolavoro e, come un artista, ha deliziato il proprio pubblico con un’opera di sublime bellezza, fuori da ogni logica. Un esteta che ha stupito tutti.

L’ambiente è un elemento fondamentale per compiere intrepide gesta che possano poi essere narrate ai posteri. Nobili storie di atleti in cui il paesaggio che fa da sfondo è essenziale. Froome ha scelto come cornice della sua opera la regione piemontese e precisamente la catena delle Alpi Cozie. Il passo alpino dove tutto ha avuto inizio è il Colle delle Finestre, Cima Coppi dell’edizione centouno. Tale ascesa è sempre stata esaltata dal pubblico e non è mai passata inosservata. Gode infatti di una pessima reputazione tra i corridori tanto che può essere classificata come spietata, lapidaria e spezzagambe.
Meno severo sembra essere l’incantevole quadro costellato da pini, castagni e brevi corsi d’acqua che accompagnano, inizialmente, un lungo serpentone d’asfalto che si inerpica lungo i fianchi della montagna. Nel tratto finale la strada cambia, rivelandosi più rigida e arcigna. Gli ultimi otto chilometri in sterrato offrono un tocco epico alla difficoltà della salita: la polvere sollevata al passaggio dei ciclisti lascia in bocca il sapore del ciclismo di altri tempi. Il grigiore della ghiaia si contrappone al verde vivo dei pascoli che si aprono in vetta, dipingendo un paesaggio mozzafiato che accompagna gli atleti verso il Forte delle Finestre, ultimo baluardo da affrontare a testa bassa prima di rialzare il capo e buttarsi in picchiata.
Il Colle delle Finestre è stato scoperto e affrontato in primo luogo nel Giro del 2005 e fino ad oggi è stato scalato quattro volte. Come un ostacolo di metà percorso è sempre stato inserito lì, in mezzo a tappe regine, per mettere i bastoni tra le ruote a coloro che nutrono il desiderio di conquistare la maglia rosa. La prima volta era stato posizionato proprio in mezzo alla tappa cruciale di quell’anno tra la doppia ascensione a Sestriere. Una scalata inedita dal versante nord che, come da pronostico, aveva regalato un turbinio di emozioni a chi quel giorno seguiva la corsa in televisione. Storica, ma da rivivere come fosse oggi.
È sabato 28 maggio. La tappa è la numero diciannove: da Savigliano a Sestriere. Il Giro d’Italia quest’anno sembra un affare riservato ad un unico protagonista. Il primo attore si chiama Ivan Basso e ha ventisei anni. In gran spolvero, domina ogni volta che la strada inizia a salire. Chi può rubargli il ruolo? Il più intenzionato sembra il giovane Damiano Cunego, vincitore dell’edizione precedente della Corsa Rosa. Il Piccolo Principe, però, ha deciso prematuramente di dichiararsi fuori dalla lotta per la maglia rosa. Forse è il peso del numero uno che porta sulla schiena? L’alzare bandiera bianca alla prima salita in programma al Giro è troppo banale. Si scoprì poi che lui di colpe non ne aveva: la mononucleosi che lo colpì sì, invece. Rimanendo in tema di virus, anche Basso ne prese uno di origine alimentare proprio il giorno del tappone dello Stelvio. Nessuna pietà per lui che, vestendo la maglia rosa, arrivò al traguardo con quarantadue minuti di ritardo circondato da tutto il suo team. Rimase in corsa per onorarla, si riprese e successivamente vinse due tappe, giusto per sottolineare il suo strapotere.

Senza le figure principali il peso della vittoria grava su altri, in particolare su tre italiani: Gilberto Simoni, Paolo Savoldelli e Danilo Di Luca. C’è anche un’interprete straniero: il venezuelano tascabile José Rujano, una scoperta di Gianni Savio.
Il segno sul Colle delle Finestre vuole invece lasciarlo Ivan Basso, che smanioso di rivincita mette tutta la CSC in testa a scandire il ritmo. Il varesino, però, non sfrutta il terreno preparato per lui, ma getta la spugna poco dopo. L’andatura indiavolata dà comunque i suoi frutti. Paolo Savoldelli, che alla partenza veste la maglia rosa e ha un vantaggio di due minuti e spiccioli su Gilberto Simoni, resta isolato.
Che il Falco fosse poco equipaggiato per cercare di conservare il primato di leader lo si sapeva già da tempo. La Discovery Channel aveva portato gregari di lusso per supportare il bergamasco, primi fra tutti Danielson e Hesjedal – sì, proprio quel Ryder che il Giro lo avrebbe conquistato nel 2012. I due super-aiutanti, però, abbandonarono durante la prima settimana di corsa. Ritornando alla tappa, Savoldelli è in difficoltà e la gara appare sul punto di poter scoppiare da un momento all’altro. «Qui può succedere di tutto»: così si era pronunciato Davide Cassani durante la ricognizione. La sua profezia si sta avverando.
Con Savoldelli senza compagni di squadra, i suoi diretti rivali prendono in mano le redini della gara. Iniziano scatti e controscatti; tutti hanno capito il momento e chiunque cerca di cogliere l’attimo. Appena il bosco lascia spazio agli ampi pascoli, lassù in vetta, a far mangiare la polvere agli avversari spiccano tre puntini colorati: uno blu, uno verde e uno bianco. Il primo, il turchese con sfumature fucsia della Lampre-Caffita di Simoni; il secondo, il simbolo di miglior scalatore appartenente a Rujano; infine il terzo, il candido e puro tono della maglia di leader della classifica Pro Tour di Danilo Di Luca. È proprio quest’ultimo a trascinare gli altri due con una pedalata persino troppo spavalda, ricevendo ogni tanto l’appoggio di Simoni. Rujano, invece, non dà mai un cambio.

Il vantaggio dei tre continua a lievitare lentamente e Savoldelli è costretto a salire con il suo ritmo. Le sue gambe sono più dure delle pietre che macinano le ruote della sua bici. La pedalata si fa legnosa e la fatica inizia a farsi sentire. È una situazione difficile e spossante, anche mentalmente. Insegue disperatamente cercando di dosare le forze e vede davanti a sé il suo sogno di arrivare a Milano in rosa svanire piano piano. Al contrario Simoni brama in cuor suo il desiderio di salire sul gradino più alto del podio e a pochi chilometri dal gran premio della montagna è virtualmente il nuovo leader della generale. Ma Paolo, seppur stanco, rimane lucido. Conosce sé stesso meglio di chiunque altro. Sa che deve gestire le proprie energie e tener duro perché poi si scende.
Mentre percorre gli ultimi metri in pietrisco, però, la fatica e la paura appaiono gradualmente sul suo volto. Al termine della gara non lo nasconderà: «Oggi avrò perso dieci anni di vita», dichiarerà infatti ai microfoni della Rai. I tre in avanscoperta, viceversa, continuano la loro azione fluida tra due ali di folla che li spinge verso il gran premio della montagna e che contribuisce a rendere ancor più magnifica l’atmosfera di quella che verrà ricordata come una giornata storica.
Dietro, invece, il Falco si scrolla di dosso la scomoda compagnia di altri corridori che di aiuto non ne offrono e resta solo con Mauricio Ardila Cano. Il colombiano della Davitamon-Lotto segue il bergamasco e la sua presenza si rivelerà decisiva.
A tre chilometri dallo scollinamento qualcosa cambia. Giochi di favori? Forse. I direttori della Discovery Channel e della Davitamon Lotto, rispettivamente Sean Yates e Allan Peiper, sono amici di vecchia data. Coetanei, sono cresciuti insieme gareggiando nel team francese della Peugeot dal 1983 al 1985. Tra le due ammiraglie qualche ricordo affiora e qualche accordo di cortesia probabilmente viene stretto. Sarebbe altrimenti inspiegabile il fatto che Ardila Cano si posizioni davanti facendo il ritmo. Che nutra scarsa simpatia nei confronti di uno sfrontato Simoni? Ipotesi poco plausibile. Le polemiche su questo episodio scoppieranno a fine tappa, ma il colombiano si difenderà dicendo di aver cambiato tattica per favorire il suo capitano, che però si trovava tra lui e il terzetto al comando: qualcosa non torna. Fatto sta che è un vero colpo di fortuna per Savoldelli ,che riconoscerà in seguito di aver trovato qualche amico lungo il percorso.
Con questo colpo di scena la situazione cambia visibilmente. Dopo il transito al gran premio della montagna, il terzetto in avanscoperta ha un vantaggio di 2’20” sulla strana coppia formata da Ardila e Savoldelli. Sappiamo tutti che il falco è un predatore del cielo e quando apre le ali mostra tutta la sua maestosità. Anche il Falco, quello in sella, dimostra di saper volare e di saperlo fare pure piuttosto bene. Sull’asfalto rovente le sue ruote non si incollano, ma scorrono lisce e rapide disegnando traiettorie perfette: pura arte in movimento.
Il colombiano dietro di lui fatica a tenere la scia, ma il bergamasco lo aspetta perché si è reso conto che è un amico davvero prezioso. I due sfrecciano e recuperano secondi cruciali, raccogliendo lungo la strada pedine che si rivelano essenziali per la lotta alla maglia rosa. Sono ciclisti che durante la salita al Colle delle Finestre avevano approfittato dell’isolamento di Savoldelli senza però reggere il ritmo dei tre al comando. Chi sono? Gárate, Honchar, Valjavec e Van Huffel, il capitano di Ardila. Presi, superati e caricati sul trenino con una locomotiva rosa, si godono questa folle picchiata. Il distacco si riduce: 1’50” dal terzetto di testa. Il bergamasco ha limato 30” in soli 8 chilometri di discesa.
Ha dell’incredibile anche ciò che accade in testa: durante la discesa Di Luca si ferma, chiama l’ammiraglia e cerca di rimediare il rimediabile. Ma non si può, purtroppo: crampi. Un lampo a ciel sereno che lo costringe a rallentare. Simoni non lo può aspettare perché si sta giocando il primato del Giro sul filo dei secondi. Lascia l’abruzzese al suo infelice destino e inizia a randellare, seguito sempre dalla maglia verde che di cambi non ne dà manco a pregarlo in ginocchio.
Dietro, invece, i sei immediati inseguitori sembrano aver trovato un accordo e Savoldelli procede coadiuvato dai “compagni” di altre squadre. All’imbocco dell’ultima salita del Sestriere, a circa sei chilometri dal traguardo, la coppia al comando mantiene comunque un vantaggio di 1’20” sulla maglia rosa. I giochi sono ancora aperti perché sul traguardo ci sono gli abbuoni. Simoni lo sa e vuole quei venti secondi che vengono gentilmente donati al vincitore di tappa. Così, implacabile, ricomincia a spingere appena la pendenza aumenta.

A poco più di quattro dall’arrivo succede quello che non ti aspetti: o meglio, che ti aspetti, visto che il venezuelano sembra molto fresco e arzillo. José decide di non ringraziare il trentino per averlo scarrozzato per tutto il giorno e, senza tanti complimenti, allunga. Rujano si invola in solitaria verso la vittoria, conquistandola con le braccia al cielo: vince la tappa regina, la maglia verde di miglior scalatore e sale sul terzo gradino del podio della generale.
Un successone per lui che, al momento non può saperlo, è però destinato ad accartocciarsi su sé stesso e a sparire senza lasciare traccia. Simoni arriva dietro di lui dopo 26”, mentre a 1’35” giunge il Killer di Spoltore, arrabbiato con sé stesso e con il mondo perché la sfortuna l’ha colpito nel punto chiave del Giro. Simoni, intanto, guarda nervosamente il cronometro e quando Paolo Savoldelli transita sul traguardo con il suo gruppetto capisce di aver perso la possibilità di conquistare la maglia rosa; maglia rosa che arriva stremata, distrutta, ma felice di aver realizzato il suo sogno per soli 28”. Meno di mezzo minuto che basta al Falco per incidere il proprio nome nella storia del Giro numero ottantotto. Una corsa che verrà ricordata per il Colle delle Finestre e per gli infiniti colpi di scena avvenuti in una tappa contrassegnata da tratti epici e leggendari.
La tappa è finita, l’indomani si arriverà a Milano. Una passerella d’onore dove Paolo Savoldelli potrà brindare al suo successo. Sul podio saliranno anche Simoni, secondo, e Rujano, terzo. Il venezuelano appagato e raggiante, il trentino contento ma polemico nei confronti di tutti. Il Gibo, infatti, dopo la tappa del Colle delle Finestre sparò a zero su tutti. Si arrabbiò con la maglia verde che «era stata sempre a ruota» per poi beffarlo nel finale; il rimprovero a Di Luca riguarderà il ritmo troppo duro sull’ascesa in sterrato, ma l’abruzzese si difenderà dicendo che si sentiva bene e avrebbe anche potuto vincere il Giro. Dello stesso avviso era anche Rujano, che giustificò il suo comportamento affermando che una crisi di fame l’aveva colpito e che Gianni Savio, dall’ammiraglia, gli aveva consigliato di stare a ruota. Anche lui pensava di poter vincere la Corsa Rosa.
Insomma, tutti che pensavano di vincere: da Simoni a Di Luca passando per Rujano. L’unico che aveva paura di perdere era Savoldelli, ma alla fine fu l’unico che vinse. Si dice che la fortuna è cieca e che premia gli audaci. La fortuna quel 28 maggio sorrise al Falco e lo premiò regalandogli un sogno. Un’impresa eroica contornata da sfumature leggendarie. Una pagina a colori tra la storia del ciclismo moderno: un rosa intenso, come il colore della maglia che indossava, con delle venature grigio pietra, come il tono dello sterrato affrontato sul Colle delle Finestre. Un epilogo memorabile.
Foto in evidenza: ©Rouleur