La Freccia Vallone 1999 è la prova tangibile della classe di Bartoli.

 

1,3km, pendenza media del 9,8%, nel punto più duro si arriva al 26%, un Ciao (che per fortuna non esiste più) con il gas a aperto al massimo strillerebbe per la fatica. Michele Bartoli non strilla: danza scomposto ma efficace sulla sua bicicletta. Vicino a lui Maarten Den Bakker, l’archetipo del personaggio dalla parte sbagliata della storia: tanto coraggioso ad arrivare fino a quel punto, quanto ineluttabile il destino che lo attende.

La Freccia Vallone del 1999 è una delle più spettacolari degli ultimi anni perché, oltre alle difficoltà imposte dalla classica delle Ardenne, c’è il meteo a complicare la vita dei corridori. Prima pioggia, poi nevischio, poi neve, poi di nuovo nevischio: le strade del Belgio sono una pista di pattinaggio poco adatta alle ruote di una bici da corsa. Poi il freddo, quello vero, quello che non si limita a gelare le ossa ma si appoggia al bagnato per impedire a un corpo umano di tenere una temperatura accettabile. Gente come Rebellin e Jalabert, pezzi da novanta, campioni indiscussi, rimangono al palo; un conto è rispondere a un attacco quando il clima è favorevole, un conto è chiedere al corpo uno sforzo quando la sua funzione principale è quella di non ibernarsi.

Michele sente freddo come tutti gli altri ma in questo caso torna buono l’assioma di Pantani, quello che diceva che in salita andava forte per far durare l’agonia il meno possibile. Bartoli lancia un paio di stoccate interlocutorie, poi ai meno ottanta chilometri l’affondo decisivo. Nessuno se la sente, nessuno ha sufficienti energie fisiche e mentali per capire che quello è il momento di mettersi alla ruota del campione toscano. Quasi nessuno, perché Camenzind e Den Bakker si incollano alla maglia della Mapei-Quick Step. Se ne vanno in tre, manca un’eternità alla fine della corsa, eppure in poco tempo si capisce che quei tre non li riprenderanno più.

Qualche mese prima c’era stato il mondiale di Valkenburg: nella prova in linea Bartoli aveva chiuso terzo. Primo e quindi campione del mondo era stato Camenzind e in effetti lo svizzero è il rivale più accreditato, man mano che il terzetto guadagna secondi sul gruppo degli inseguitori. Den Bakker è il terzo incomodo, l’elemento che, in alcuni rari casi, ribalta il pronostico e alimenta la retorica di una vittoria arrivata quasi per caso ma fomentata da passione e coraggio. Di storie così ce ne sono a sufficienza, il destino di Den Bakker sarà ben diverso.

 

Michele Bartoli e Paolo Bettini, due fuoriclasse che hanno brillato sulle Ardenne. ©Eric HOUDAS, Wikipedia

 

Bartoli e Camenzind cominciano a picchiare forte, il percorso della Freccia Vallone non è un continuo, interminabile saliscendi sul modello della Liegi-Bastogne-Liegi, ma invece permette delle trenate piuttosto lunghe a chi ha le energie per spingere sui pedali. Il toscano e lo svizzero non accennano a diminuire l’andatura: nel giro di pochi chilometri il vantaggio accumulato raggiunge i tre minuti e, dietro, non c’è la collaborazione necessaria per organizzare un inseguimento contro quelli che probabilmente, in quel momento, sono i due migliori corridori al mondo nelle corse di un giorno. Bartoli e Camenzind, Camenzind e Bartoli, sarebbe facile immaginare un finale in cui Den Bakker tira i remi in barca e i due pesi massimi si sfidano al centro del ring (il Muro di Huy) senza lesinare sulla violenza dei colpi. Uno sceneggiatore probabilmente la scriverebbe così, anche perché un problema con la cerniera di una giacca antigelo sarebbe un escamotage narrativo troppo debole per risultare credibile. Insomma, questi eroi stanno combattendo contro il freddo, la fatica, la pioggia e il game changer dovrebbe essere un meccanismo automatico che permette di aprire e chiudere un indumento?

Roba da matti, ma il ciclismo è prima di tutto una roba da matti: fatto sta che Camenzind rimane attardato perché la zip della sua tuta fa i capricci. Lui deve fermarsi, perde qualche metro, poi il gap aumenta, poi la Cote de Bohissau fa il resto: per lo svizzero non ci sono più chance di rientrare sui due battistrada. A fine gara Camenzind dirà che i due davanti lo hanno fatto fuori, che appena notato il problema tecnico hanno aumentato il ritmo, che lui sarebbe potuto arrivare agilmente secondo. Non primo: secondo, perché i campioni riconoscono la superiorità quando si palesa davanti ai loro occhi, e quel concetto di superiorità sta per squarciare la rampa finale di questa Freccia Vallone.

Arrivano in due ai piedi del Muro di Huy. Den Bakker negli ultimi chilometri ha fatto pochissima fatica, quasi sempre a ruota. D’altronde l’olandese della Rabobank sa perfettamente che, a parità di condizioni, tra lui e Bartoli non si inizia neanche.

Il toscano della Quick-Step non ha fretta. Ha già vinto due volte la Liegi, una volta il Fiandre, viene dalla vittoria della Tirreno-Adriatico: di sicuro non gli manca la capacità di rimanere attaccato al momento per piegare la realtà alla sua volontà. Continua a sbirciare la “corona” della bici di Den Bakker, l’ingranaggio che regola le marce della bicicletta, per vedere che tipo di rapporto sta usando l’olandese: è consapevole della sua forza e non vuole lasciare niente al caso. Ha fatto una di quelle imprese indimenticabili in uno scenario da lupi e adesso vuole portare a casa il bottino senza che una qualsiasi variabile intacchi le sue chance di successo. Un escamotage narrativo debole basta e avanza.

 

Non attaccare, aspetta, non attaccare, alzati sui pedali, uno, due, uno, due, siediti, lasciagli l’interno, guarda il tornante, aspetta, aspetta.

La fucilata arriva nel tratto più duro di salita. Mancano poco più di trecento metri al traguardo: pensare di reggere a uno scatto simile è fantascienza per Den Bakker, il quale abbozza una risposta per poi adagiarsi sulla sua bicicletta e pensare, semplicemente, a chiudere la gara. Dopotutto il secondo posto è comunque motivo di vanto: il primo, in una giornata così, non può che appartenere a Bartoli.

Si volta, Den Bakker arranca, si volta ancora, non c’è partita, si volta di nuovo in una terza occasione quando mancano un centinaio di metri al traguardo, forse anche meno, per assicurarsi che può assaporare il momento con relativa serenità. Taglia il traguardo: un solo braccio alzato perché l’altro serve per mantenere un equilibrio che, dopo 200km di corsa di cui 80 in fuga, tende a mancare persino a lui.

A fine gara, con il freddo ancora particolarmente vivo nella voce e nel corpo, dirà che quella è stata la vittoria più spettacolare della sua carriera. Magari ha ragione, di certo poteva essere ancora più epica se l’ultimo ostacolo fosse stato un corridore più forte di un coraggioso ma spacciato Den Bakker. Punti di vista, uno sceneggiatore non disegna tracciati; comunque l’ipotetico rivale più accreditato sarebbe arrivato secondo. Era una di quelle giornate in cui i vincenti si riconoscono in altri vincenti e Bartoli era imbattibile per tutti.

 

Foto in evidenza: Michele Bartoli, Twitter