Una doppia caduta fa saltare i nervi in gruppo: l’esito è memorabile.
Quando si parla di regolamento il ciclismo diventa un animale riottoso. Vengono istituite delle classifiche e lui, permaloso, si blocca; se la noia dura troppo, ecco che un temporale movimenta la situazione; e quando la soluzione sembra ormai scontata, un imprevisto rimescola il mazzo.
Se il ciclismo mal sopporta normative che lo imbrigliano, figurarsi cosa può succedere con le cosiddette “leggi non scritte”. Nessuno si è mai preso la briga di scriverle proprio perché la loro incosistenza fa comodo. E così si può fare finta di niente, sussurrare che la notizia del guasto meccanico è arrivata soltanto in un secondo momento, riconoscere che le leggi non scritte sono un po’ come le favole: ognuno le modifica come vuole, tagliando qui e cucendo là.
Che alla Tirreno-Adriatico del 1998 sarebbe successo qualcosa lo avevano capito in molti. Le sensazioni, pur non avendo forma né odore, hanno un loro modo di palesarsi. Quando un giovane Paolo Bettini non riesce nemmeno a terminare la prima frazione a causa di una brutta caduta che lo taglia fuori, il malumore inizia a farsi largo. I corridori denunciano la pericolosità di strade strette e tortuose bagnate dalla pioggia e la presenza di transenne con i piedi metallici troppo in fuori. Il giorno dopo due cadute praticamente simultanee lacerano le poche resistenze opposte dal gruppo.
Dei centosessantaquattro chilometri in programma, già centodiciassette ne sono stati percorsi quando il plotone giunge nei pressi di Calvi Vecchia. Tra voli, torsioni, scivolate e piedi a terra, rimangono coinvolti novanta corridori. Il ciclismo, in casi come questo, perde la compattezza e scopre l’interpretazione. In pochi minuti davanti si forma un drappello corposo composto da trentacinque uomini. Pare che soltanto Gianluca Pierobon fosse già all’attacco prima del groviglio di biciclette e punti di vista. Adesso con lui ci sono anche Chiappucci, Sørensen, Zabel, Lombardi, Svorada, Ballerini, de Jongh, Brochard con la maglia di campione del mondo e Balducci con quella di leader della classifica generale, avendo vinto la tappa di Sorrento del giorno prima. Il plotone si divide: davanti coloro i quali hanno interpretato la caduta come un’opportunità; dietro, invece, quelli che antepongono il benessere del gruppo a quello personale.
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Bartoli e Petito sono i più arrabbiati. Provano a inseguire senza riuscirci gli ultimi vagoni che si attaccheranno al treno degli attaccanti, tentando di sopperire con qualche urlo. Niente da fare: chi voleva andarsene ormai lo ha già fatto. La protesta scoppia furente.
I quarantasette chilometri restanti vengono pedalati dal gruppo con una tranquillità soltanto fittizia, una apparente serenità fatta di comizi e scambi di battute a brutto muso. Bartoli e Fondriest, in testa al troncone, sono i rappresentanti. Si fermano a pochi centimetri dalla linea bianca di Baia Domizia e incrociano le braccia. Tutti gli altri fanno lo stesso: chi ci crede e chi, a testa bassa, è costretto ad adattarsi.
“Non siamo bestie”, dice Bartoli a Bergonzi e Zomegnan de “La Gazzetta dello Sport”. “Quando cento corridori finiscono a terra dovrebbe essere naturale la solidarietà del gruppo. Io non sono caduto, sono solo rimasto ostacolato. Avrei potuto scattare e riportarmi sui primi, ma mi sarei sentito un verme. E invece c’è chi ha approfittato della caduta per attaccare. Io mi vergognerei”.
Anche Roberto Petito viene toccato profondamente da questa vicenda: è il campione in carica, avendo vinto la Tirreno-Adriatico nel 1997. “Ci sono corridori che hanno calpestato i caduti pur di lanciarsi in fuga. Siamo una categoria che si è dimenticata anche il rispetto degli altri”, tuona amareggiato.
I pareri sono discordanti. Nella caduta generale ci sono stati atleti che si sono fatti male sul serio. Moncoutié, Michaelsen e Colleoni si sono ritirati per le botte incassate; ciò che ha fatto anche Spezialetti, ma col femore spezzato. Una fetta importante del gruppo chiedeva insomma che la gara venisse quantomeno neutralizzata per permettere a tutti di rientrare e proseguire fino a Baia Domizia. Così non è stato e c’è chi ha perso la testa.
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Quando viene data la notizia che nemmeno l’innalzamento del tetto del tempo massimo è sufficiente per tenere in corsa i centoventicinque membri del plotone, Carmine Castellano non si smuove. “Mi bastano soltanto tre corridori per completare il podio”. E ha anche qualche parola nei confronti di quei professionisti che, ancora in corsa, hanno affiancato l’auto sulla quale viaggiava per prenderla a pugni, calci e sputi. “Stiamo valutando se ci siano corridori che per il loro comportamento non siano più graditi nelle corse della Gazzetta”.
La vicenda ha un esito storico: cinquantuno corridori hanno tagliato il traguardo entro il tempo massimo ma gli altri centoventicinque no. La giuria è inamovibile: il regolamento viene applicato alla lettera e i centoventicinque ribelli spediti a casa. La mattina successiva le decisioni prese presentano il conto. Si pentono tutti. “Dovevamo portare a termine la tappa e poi farci sentire. Così facendo abbiamo deluso il pubblico, gli organizzatori e gli sponsor”, recitano in coro. Sono stati fatti fuori calibri pesanti come Cipollini, Bartoli, Bugno, Fondriest, Petito, Figueras, Rebellin. Tre squadre letteralmente cancellate: Mercatone Uno, Asics e Saeco. Una delegazione composta da Stanga, Cipollini, Bugno, Petito e Martinello prova a ricucire lo strappo con Castellano ma l’organizzazione non vuole assolutamente fare un passo indietro.
La famosa seconda tappa della Tirreno-Adriatico 1998 l’ha vinta Zabel. Si sarebbe ripetuto altre tre volte nei giorni successivi: ancora alla Tirreno-Adriatico, nella settima e ottava tappa, e soprattutto alla Milano-Sanremo, la seconda della carriera dopo il primo timbro nel 1997. La lotta per la classifica generale ha premiato Järmann, più lesto di Ballerini per soli quattro secondi.
Il regolamento è stato applicato e il ciclismo ne è uscito mutilato. Le leggi non scritte hanno palesato per l’ennesima volta l’aleatorietà che le contraddistingue. Le parole più sensate di quel pomeriggio le ha raccolte Eugenio Capodacqua per la Repubblica. Sono di Silvio Martinello e recitano: “Una figura ridicola”.
Foto in evidenza: ©Brian Townsley, Wikimedia Commons