La caccia alla maglia gialla del Tour de France passa da qui.
Il Tour de France 2019 verrà ricordato per le assenze che ne hanno sconquassato la gerarchia. All’appello mancano almeno cinque corridori di primo piano: su tutti, Chris Froome e Tom Dumoulin, ovviamente; ma non dimentichiamoci di Richard Carapaz, Primož Roglič e Miguel Ángel López. Checché se ne dica, le assenze contano eccome: altrimenti, per atleti come Fuglsang, Kruijswijk e Pinot ci sarebbero poche chance di conquistare la grande corsa a tappe più importante del calendario ciclistico. Nelle ultime stagioni, soltanto l’edizione del 2014 aveva avuto una storia simile: uno splendido Vincenzo Nibali sbaragliò una concorrenza tutto sommato modesta, basti pensare che tra i primi dieci si classificarono Leopold König e Laurens ten Dam. A differenza di quel Tour de France, tuttavia, quest’anno manca un nome di riferimento che metta d’accordo tutti o quasi. Alla vigilia, Egan Bernal e Jakob Fuglsang sembrano i due favoriti principali. Ma la strada è lunga e tortuosa, luglio si preannuncia bollente e almeno altri dieci atleti sognano il colpo grosso: conquistare un Tour de France che fino a qualche settimana fa pareva irraggiungibile.
Jakob Fuglsang

Perché Jakob Fuglsang sia uno dei favoriti principali del prossimo Tour de France è abbastanza chiaro. Arrivato a trentaquattro anni, lo scalatore danese sta vivendo una stagione pressoché perfetta: è completo, sicuro dei suoi mezzi e con un’esperienza del professionismo su strada ormai decennale. La lunga gavetta nell’ombra di Vincenzo Nibali e Fabio Aru gli sarà sicuramente servita, anche se i risultati raccolti da Fuglsang da quando i due hanno cambiato squadra testimoniano che il danese avrebbe potuto mettersi in proprio con un paio d’anni d’anticipo. L’unico dubbio era rappresentato dalle cronometro, ma il Tour de France 2019 sembra essersele dimenticate: buon per Fuglsang, che in salita si è dimostrato sempre più solido e capace di gestire una squadra di assoluto livello votata interamente alla sua causa. Che l’Astana sia una certezza nelle grandi corse a tappe non lo scopriamo certo oggi: e non soltanto nelle tappe più difficili, tant’è che Fuglsang sarà scortato anche da Luis León Sánchez e Magnus Cort Nielsen, due compagni che si riveleranno fondamentali anche nelle frazioni dall’altimetria più tranquilla. Il settimo posto ottenuto sei anni fa è tutt’oggi il suo miglior piazzamento al Tour de France: non così rincuorante, è vero, tuttavia è passato tanto, troppo tempo da allora. Jakob Fuglsang è un altro corridore, un altro capitano. A trentaquattro anni i sogni non ancora realizzati iniziano a pesare come macigni: se vuole vivere più leggero e consegnare alla storia del ciclismo moderno una stagione sensazionale, Fuglsang sa già quello che deve provare a fare.
Thibaut Pinot

Ogni estate riecheggia lo stesso ritornello: un corridore francese non vince il Tour de France dal 1985, quando Romain Bardet e Thibaut Pinot non erano ancora nati. I due corridori francesi hanno avuto due traiettorie opposte: se fino a qualche anno fa sembrava Bardet quello con più prospettive, il discorso si è letteralmente ribaltato dal 2017 in poi. Bardet ha perso quella freschezza che, mescolata al suo spirito battagliero, era parsa per un paio d’estati l’unica soluzione per scardinare la cassaforte nella quale il Team Sky chiudeva Chris Froome; Pinot, al contrario, si è levato di dosso l’etichetta di brutto anatroccolo arrivando quarto al Giro d’Italia 2017 e sesto alla Vuelta dello scorso anno, vincendo una tappa in Italia e due in Spagna. Ai successi nelle corse a tappe ha aggiunto una Milano-Torino e un Giro di Lombardia, una classica monumento vinta di forza al termine di una prestazione maiuscola. Non fatevi ingannare, però: Pinot non ha svestito del tutto i panni del lunatico. Torna al Tour de France dopo due anni: nel 2017, dopo aver collezionato due ritiri consecutivi alla Grande Boucle, decise di puntare tutto sul Giro d’Italia. Il carico di aspettative che è chiamato a mantenere è importante come non lo è mai stato: nemmeno nel 2015 gli veniva chiesto tanto, nonostante il terzo posto di un anno prima. A differenza di altri rivali, la squadra ruota intorno a lui e ha in Reichenbach e Gaudu due ottimi luogotenenti. Resta da capire la sua tenuta sulle tre settimane: la sua carriera dice che degli undici grandi giri disputati, sei sono andati abbastanza bene mentre i restanti cinque sono stati dei fallimenti o giù di lì. Thibaut Pinot non ha più tempo per capire se è un uomo da corse a tappe o da classiche: qualsiasi dubbio va necessariamente rimandato al termine del Tour de France 2019.
Steven Kruijswijk

Quando Vincenzo Nibali approfittò della sua caduta nelle prime battute della discesa del Colle dell’Agnello per strappargli il Giro d’Italia 2016, l’impressione generale era che Steven Kruijswijk non avrebbe mai più potuto lottare per la vittoria di un grande giro: il treno era passato e lui l’aveva perso. Tre anni più tardi, invece, ci si è resi conto che Kruijswijk potrebbe soltanto aver confuso la fermata. I risultati raccolti nelle ultime due stagioni, infatti, non sono quelli di un miracolato che sta attraversando un momento di grazia; al contrario, raccontano di un corridore concreto che ormai ha trovato la sua dimensione: quella di seconda linea pronta a far saltare il banco. Nel 2017 fu nono alla Vuelta, mentre la stagione scorsa lo ha definitivamente consacrato ad alti livelli: non è da tutti chiudere il Tour de France al quinto posto e la successiva Vuelta al quarto, giù dal podio per cinquanta secondi. Nel 2019 Kruijswijk ha corso poco ma ha fatto bene: terzo alla Vuelta a Andalucía, quinto alla Catalunya, sesto al Romandia; l’unico segnale negativo è arrivato dal Delfinato, prova che non ha concluso per evidenti limiti fisici nonostante il quarto posto conquistato nella cronometro individuale. La squadra che lo appoggerà è buona ma non eccezionale: De Plus e Teunissen sono due gregari che possono fare la voce grossa al Giro d’Italia e alla Vuelta a España, ma al Tour de France sarà un’altra musica; George Bennett è un ottimo scalatore che alterna prestazioni discrete ad altre pessime; Tony Martin e Van Aert sono due garanzie, è vero, ma difficilmente sapranno rimanere coi migliori nelle tappe di alta montagna, senza dimenticare che tra i loro compiti c’è anche quello di aiutare Groenewegen nelle volate di gruppo. Un anno fa, afflitto da utopia, Steven Kruijswijk provò a ribaltare il Tour de France attaccando da lontano nella tappa dell’Alpe d’Huez: una dimostrazione di carattere che non andò a buon fine, ma che lo sottopone necessariamente all’attenzione generale.
Romain Bardet

Scorrendo i nomi dei capitani che lotteranno per la classifica generale, Romain Bardet risalta per quello che adesso è: uno dei più dimessi. Le ultime due stagioni sono state un coacervo indecifrabile di risultati. Tutto partì dal Tour de France 2017, quando Chris Froome sembrò più vulnerabile che mai: nessuno seppe approfittarne, nemmeno Bardet, che dovette accontentarsi della tappa di Peyragudes e del terzo posto finale difeso per un solo secondo dalla furiosa rincorsa di Landa. Alla Vuelta di quell’anno chiuse diciassettesimo, lontanissimo dai primi. Lo scorso anno è stato altrettanto strano: eccellente nelle corse di un giorno, terzo alla Liegi-Bastogne-Liegi e secondo nella prova in linea del campionato del mondo, ma impalpabile al Tour de France, sesto a quasi sette minuti da Geraint Thomas; e dire che aveva concluso il Delfinato al terzo posto. Il carattere lo assiste ancora, per fortuna: peccato che il coraggio sia nullo, se non poggia su due gambe forti. Anche Bardet potrebbe rivelarsi una delle vittime più altisonanti dell’indecisione: se fino al 2016 pareva destinato alla vittoria del Tour de France, adesso sembra più vicino alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Giro di Lombardia. L’AG2R, peraltro, è una delle squadre più malconce della vigilia: Latour, la maglia bianca della scorsa edizione del Tour de France, si è tirato fuori dalla mischia per problemi fisici irrisolti; Cosnefroy e Gallopin sono caduti durante la prova in linea dei campionati francesi e sono pieni di lividi ed escoriazioni. Come se tutto questo non bastasse, Bardet è reduce da prove opache: decimo al Delfinato senza mai mettersi in mostra e secondo alle spalle di Herrada nella prova del Mont Ventoux, corsa nella quale era dato per favorito assoluto. I migliori risultati risalgono a diverso tempo fa: quinto alla Parigi-Nizza, nono alla Amstel Gold Race. Era un altro Romain Bardet, tanto quello d’inizio anno quanto quello d’inizio carriera.
Geraint Thomas

Può essere un’incognita la maglia gialla uscente, il corridore che poco meno di dodici mesi fa ha trionfato al Tour de France senza perdere una pedalata? Sì, se l’atleta in questione è Geraint Thomas e la sua squadra è il Team INEOS. Dall’arrivo a Parigi dello scorso anno, Thomas ha corso pochissimo: il Giro di Germania e il Tour of Britain dopo il Tour de France 2018 e appena ventisei giorni quest’anno. La maglia gialla gli ha cambiato la vita, sicuramente nel bene ma un pizzico anche nel male: gli impegni aumentano esponenzialmente, così come la pressione mediatica e degli sponsor. Ad eccezione del terzo posto finale al Romandia, la primavera di Thomas è stata estremamente anonima; non ci si aspettava molto, a dire la verità: ormai abbiamo capito il programma che una squadra come INEOS – o Sky, cambia poco – prepara per i suoi capitani, facendoli correre il meno possibile preservandoli per la Grande Boucle. A maggior ragione se si parla di Geraint Thomas, un ottimo corridore ma un fuoriclasse no di certo. Se gli indizi contano ancora qualcosa, la caduta e il ritiro dal Giro di Svizzera non sono benauguranti: in un primo momento si temeva il peggio, con un’eventuale frattura che avrebbe eliminato dalla lotta per la maglia gialla un altro capitano del Team INEOS dopo Froome. Pronosticare oggi un bis di Geraint Thomas ci sembra più che azzardato. Senz’altro parliamo di un corridore completo, che ha concluso due edizioni consecutive del Tour de France al quindicesimo posto nonostante fosse un gregario e che ha ormai raggiunto i trentatré anni e quindi la piena maturità. I problemi, tuttavia, sono due: la squadra che andrà in Francia è forte ma non inavvicinabile, quindi imporre un ritmo costante potrebbe risultare più difficile del previsto; e uno dei sette compagni è Egan Bernal, probabilmente il favorito principale insieme a Fuglsang. La passata edizione, insomma, potrebbe rappresentare un unicum nella carriera di Geraint Thomas.
Nairo Quintana

Quello di Nairo Quintana sarà il sesto Tour de France e per la quinta volta arriverà a contendersi la maglia gialla con i suoi avversari senza aver disputato il Giro. Nel 2017 tentò l’accoppiata, ma non gli andò benissimo: dopo il podio in Italia, infatti, Quintana ottenne il dodicesimo posto sulle strade francesi, suo peggior risultato fin’ora al Tour. Nelle altre Grand Boucle vanta invece tre podi su tre partecipazioni consecutive (2013 al suo esordio, 2015 e 2016) e il decimo posto nel 2018. Gli ultimi due Tour de France disputati sono stati, Giro o non Giro, i peggiori in carriera. La sfinge boyacense, classe ’90, arriva al Tour 2019 senza aver destato grandi impressioni e dando l’idea del corridore in fase calante; la maglia gialla a Parigi resta in ogni caso il suo grande obiettivo stagionale. Al Delfinato ha arrancato in salita – ce n’è stata poca, per la verità – chiudendo solo nono nella classifica finale. Nella prima parte di stagione è sembrato realmente convincente solo alla Parigi-Nizza (secondo assoluto in classifica), mentre la sua unica vittoria la otteneva qualche settimana prima nella tappa conclusiva del Colombia 2.1, chiuso al quinto posto. Lo storico dei suoi Tour de France fino al 2016 e le due grandi assenze che portano il nome di Froome e Dumoulin spiegano, però, come il corridore nato a Cómbita abbia tutte le carte in regola per provare a vincere o almeno a salire sul podio. Due ex vincitori di questa corsa come LeMond e Delgado, però, sono convinti del contrario e all’unanimità sostengono che: “Quintana non vincerà il Tour, gli anni migliori sono ormai alle spalle“. La squadra a supporto sarà forte, anzi fortissima, come quella che ha difeso Carapaz al Giro o forse di più, e l’occasione di una storica doppietta in casa Movistar è clamorosamente ghiotta. Landa, Valverde, Soler, Amador, Verona, Erviti, Oliveira è un settetto che sarebbe capace di accompagnarlo anche per mano in salita e che sembra affiatato anche per la cronosquadre del secondo giorno. Il percorso poi, con così poca cronometro, sembra perfettamente ritagliato sulle misure dello scalatore colombiano. Caro Nairo: ora o mai più.
Egan Bernal

Se cercate il primo colombiano in maglia gialla a Parigi e Quintana non vi convince, forse dovreste guardare in casa INEOS. Egan Bernal, infatti, è stato uno dei mattatori in stagione delle brevi corse a tappe e leggendo il suo nome è difficile non scaldarsi in ottica classifica finale. Ha vinto la Parigi-Nizza a inizio stagione e di recente il Tour de Suisse, è stato terzo al Catalunya e quarto al Colombia 2.1. Il ragazzo di Zipaquirá, almeno in salita, potrebbe però essere l’uomo più forte e l’unico capace di scavare la differenza necessaria per primeggiare. Come per Quintana, la squadra è di qualità e si dividerà tra lui e il campione uscente: Poels e Kwiatkowski uomini deputati per la salita, Moscon e Castroviejo tuttofare a seconda della condizione, Van Baarle cresciuto esponenzialmente che darà una mano ovunque, mentre Rowe sarà pilota in pianura. Più di Quintana, Bernal si difenderà bene nei pochi chilometri a cronometro, dove anzi potrebbe guadagnare su diversi avversari per la classifica finale, mentre invece l’esito della cronosquadre appare tutt’altro che scontato. Peserà sulle sue fragili spalle la poca esperienza; un solo Grande Giro disputato, lo scorso anno, quando proprio sulle strade di Francia si dimostrò il miglior gregario del lotto; un altro, il Giro d’Italia, saltato dopo l’ennesima caduta. A soli ventidue anni Bernal rischia di fare il colpaccio: a patto, però, di restare in piedi. Gli incidenti e i conseguenti infortuni, infatti, sono uno dei leitmotiv di queste sue due stagioni con lo squadrone britannico e le prime giornate di Tour de France saranno – al solito – ricche di trabochetti.
Dan Martin

Il brutto anatroccolo del ciclismo mondiale, lo sbilenco Paul McArtney in maglia UAE, sarà uomo pericolosissimo per l’alta classifica. Forse il podio gli è precluso, ma parliamo di un corridore capace di fare nono, sesto e ottavo negli ultimi tre Tour de France disputati. In salita può giocarsi l‘arma dell’improvvisazione, ha una squadra forte e solida a supporto – Aru, Rui Costa e Sergio Henao che all’occorrenza saranno qualcosa in più che semplici pedine d’appoggio -, anche lui come suoi diversi colleghi dovrà, però, stare attento alle trappole disseminate nelle prime giornate di corsa, cercando di stare in piedi senza perdere troppo tempo. Naïf e distratto quanto basta, Dan Martin ha sempre mostrato alti e bassi in salita che lo fanno comunque amare a quella fetta di pubblico che preferisce snobbare il classico campione robotico appassionandosi a uomini meno verticali. La sua indole da lottatore, la caratteristica posa in bicicletta da corridore sgraziato, ma spesso molto efficace, fanno di Dan Martin un corridore se non altro facilmente distinguibile in gruppo e complicato da tenere a freno non appena la strada si arrampica. Lo scorso anno nella corsa francese ha ottenuto quello che è, a oggi, il suo ultimo successo in carriera, vincendo sul classico arrivo di Mûr-de-Bretagne con una sparata delle sue. Quest’anno il bottino va rimpinguato, per dare contro a un 2019 al momento deficitario.
Rigoberto Urán

A completare il trio dei colombiani d’altissima classifica ecco un Rigoberto Urán che, sulla scia di una delle migliori stagioni in assoluto della sua squadra, punta in maniera decisa al podio. Due anni fa sorprese tutti, arrivò secondo a meno di un minuto da Froome chiudendo un Tour de France contraddistinto da una grande regolarità e dove dimostrò finalmente un certo feeling con una corsa che spesso lo ha respinto. Come accaduto lo scorso anno, quando fu costretto al ritiro a seguito di una delle tante cadute che ne hanno caratterizzato buona parte della carriera. La squadra, dicevamo, non è mai stata così forte come in questo 2019 e a fianco a sé il classe ’87 antioqueño avrà uomini da top ten come Van Garderen e Woods, mentre Bettiol, Langeveld e Phinney saranno ombra sotto il sole cocente della pianura e carbone per alimentare la locomotrice nella cronosquadre dove la Education First sarà tra le favorite. È vero che in stagione Urán non ha mai offerto prestazioni da stropicciarsi gli occhi; ha corso poco, spesso lontano dai riflettori e senza ottenere grandi risultati. Di recente alla Route d’Occitanie ha chiuso terzo nell’arrivo in salita dietro Sosa e Valverde: risultato da prendere con le pinze, ma che dimostra come il suo avvicinamento al Tour sia stato calibrato. La Grand Boucle resta il suo obiettivo principale anche in questo 2019 e se dovessimo fare un nome diverso dai soliti, quello di Rigoberto Urán lo terremmo fortemente in considerazione.
Adam Yates

Dopo il deludente risultato ottenuto al Giro dal suo gemello, ecco che al Tour de France sarà il turno di Adam Yates. Il ventiseienne di Bury andrà a caccia del podio sulle strade di Francia, lui che in carriera lo sfiorò nel 2016 quando arrivò quarto a venti secondi da Quintana e vestendo la maglia bianca di miglior giovane fino all’ultimo giorno. Adam Yates, per completare un’opera tutt’altro che semplice, ma che potrebbe rivelarsi maestosa, avrà a disposizione proprio il fratello gemello, sulla carta tra i più forti compagni di squadra in salita, e un team ben costruito per supportarlo su ogni terreno. A eccezione di Matteo Trentin che andrà verso la gloria personale, ma sappiamo quanto il campione europeo sappia essere un ottimo uomo squadra, il sodalizio australiano porta sul bollente asfalto francese uomini votati totalmente alla causa del proprio capitano. Alcuni saranno garanzia per la cronosquadre e nella tappe in pianura – Hepburn, Durbridge e Impey – ci sarà un uomo completo come Juul-Jensen, già in evidenza al Giro d’Italia e, infine, Jack Haig, che si trasformerà in fedele compagno del classe ’92 inglese non appena la strada prenderà le impervie vie della montagna. Saprà Adam Yates diventare il quarto diverso vincitore britannico al Tour negli ultimi otto anni? Se dovessimo rispondere a questa domanda, suggeriremmo di no. Poi, essendo il ciclismo capace di sovvertire pronostici e gerarchie, esortiamo tutti i suiveur a tenere d’occhio anche il piccolo scattista di Sua Maestà.
Altri

La categoria riservata agli “altri” assume i contorni degli esclusi eccellenti. Una terra di mezzo, quella degli uomini che si potrebbero inserire magari ai piedi del podio, magari in top ten, che rischia di essere lunga e sterminata come gli oltre tremila chilometri che compongono la corsa. Senza dimenticare che il vincitore dell’ultimo Giro d’Italia è uscito proprio da una lista simile, andiamo a veder quali sono gli altri nomi da seguire per la classifica generale. Mas, sul podio alla Vuelta, cerca conferme al Tour dopo un’annata tutt’altro che esaltante: sarà il capitano di una Deceuninck che però si dividerà tra le fughe di Alaphilippe e le volate di Viviani. Porte, in ballottaggio fino all’ultimo con Yates e Urán, scivola nel listone generale se non altro per non caricarlo di aspettative esagerate; così su due piedi ci viene difficile da pronosticarlo anche solamente sul podio. Con lui una Trek-Segafredo di qualità con Mollema e Ciccone grandi protagonisti al Giro e qui in supporto del tasmaniano o a caccia di traguardi parziali. L’Italia per la classifica generale proverà ad affidarsi a Nibali e Aru, tuttavia l’impressione è che per motivi diversi i due non li vedremo battagliare per una top ten che poco darebbe alle loro carriere, ma potranno andare all’inseguimento di tappe o punti per i gran premi della montagna. Per il siciliano lo spartiacque sarà l’arrivo alla Planche des Belles Filles, dove vorrà capire a che punto è la sua condizione, mentre il sardo, strada facendo, potrebbe alzare l’asticella delle sue ambizioni. In casa Francia, invece, Barguil e Guillaume Martin più che vederli in alta classifica, a oggi sembrano corridori tagliati per conquistare la maglia a pois. Per la generale, invece, da tenere in grande considerazione il duo austro-tedesco della BORA formato da Konrad e Buchmann, l’americano Van Garderen, che sembra ritrovatosi anche lui nella magica annata della EF, l’olandese Keldermann, capitano in casa Sunweb orfana di Dumoulin e il neozelandese Bennett, che dopo le top ten alla Vuelta e al Giro insegue quella al Tour. Se Valverde porterà in giro la maglia iridata con lo scopo di conquistare tappe, Landa sarà il miglior gregario possibile a fianco di Quintana e in caso di passo falso del suo capitano, in un Tour così ricco di montagne e povero di cronometro, potrebbe anche togliersi qualche soddisfazione importante con vista podio. Se Dennis si testerà per provare una difficilissima top ten – in carriera un solo Tour de France concluso,al 101° posto – , il team Bahrain a fianco all’australiano e a Nibali avrà in Caruso un importante battitore libero che già in passato ha dimostrato di poter ambire a un posto tra i primi dieci o quindici della generale. In casa Dimension Data sarà compito di Kreuziger provare a fare classifica, mentre la Lotto lancerà un Benoot apparso in ottime condizioni al recente Tour de Suisse. Occhio a Poels per il Team Ineos che sarà qualcosa in più di un terzo incomodo al fianco di Thomas e Bernal e in salita potrebbe essere uno dei più forti in assoluto, mentre la Katusha schiera un irriducibile Zakarin che dopo la bella vittoria di tappa al Giro, con tanto di top ten finale, vorrebbe doppiare il risultato anche sulle strade di Francia.
Foto in evidenza: ©Tour de France, Twitter