10 nomi da seguire al Tour de France

Tra fuggitivi e puncheur c’è chi cercherà maglie di colore diverso.

 

 

Warren Barguil

(©Twitter, Emmanuel Hubert)

Se questo divertissement lo avessimo stilato dieci giorni fa, Warren Barguil ne sarebbe rimasto escluso: utopistico pensare che un corridore con la sua traiettoria potesse brillare sulle strade del Tour de France. Dopo le due vittorie di tappa e la maglia a pois conquistate nell’estate del 2017, Barguil è praticamente scomparso dai radar. Nel 2018 si piazza tra i primi dieci di una tappa o di una classifica in appena cinque occasioni: settimo nella prova in linea dei campionati francesi, secondo nella classifica degli scalatori del Tour de France, sesto nella generale del Giro di Germania e terzo al Gran Prix de Wallonie. Nella prima parte di questa stagione ha fatto ancora peggio: terzo alla Royal Bernard Drome Classic e quarto nell’ultima frazione del Delfinato, nient’altro. Poi, in maniera totalmente inaspettata, ha centrato il risultato che potrebbe cambiare la sua carriera: la vittoria nella prova in linea dei campionati francesi, il più lesto dei fuggitivi che hanno caratterizzato la corsa. Warren Barguil compirà ventotto anni a ottobre e un paio di cose sul suo conto si sono capite: non penserà più alla classifica generale delle grandi corse a tappe, ad esempio, né riuscirà mai a trovare la costanza che contraddistingue i buoni corridori dai campioni. Tuttavia, considerando le innegabili doti in salita e gli anni di carriera ancora a disposizione, Barguil potrebbe costruirsi un futuro nuovo, che mai avrebbe immaginato fino a qualche anno fa: probabilmente non quello sperato, è vero, ma in certe situazioni salvarsi è più importante di come ci si salva.

Edvald Boasson Hagen

(©Twitter, bikenews.it)

Da qualche anno a questa parte, Edvald Boasson Hagen ci ha abituati ad un’incostanza ragionata: c’è del metodo, nel suo essere lunatico. Alterna un’ottima e una pessima stagione come se fino ad oggi non avesse fatto altro, con la stessa naturalezza con la quale si va in bagno. Dopo un quinto posto alla Parigi-Roubaix 2016 e una stagione sostanzialmente buona, era lecito aspettarsi la definitiva consacrazione nelle classiche del Nord, lui che aveva vinto la Gand-Wevelgem nel 2009, non ancora ventiduenne; ovviamente la consacrazione non arrivò: disputò una primavera talmente anonima da bruciare tutte le speranze che molti addetti ai lavori riponevano in lui. Poi, senza particolari segnali che lo preannunciassero, Boasson Hagen corse un Tour de France di altissimo livello: vinse una tappa, fu tre volte terzo e due volte secondo e chiuse al terzo posto nella classifica a punti. Un corridore ritrovato? Assolutamente no: il 2018 è una delle stagioni peggiori della sua carriera, con qualche piazzamento e un paio di successi che non aggiungono niente alla sua carriera. Il 2019 era iniziato nel migliore dei modi, con una vittoria al primo giorno di corsa nella cronometro inaugurale della Volta a la Comunitat Valenciana. Per trovare il secondo successo stagionale, tuttavia, Boasson Hagen ha dovuto attendere il Giro di Norvegia; il terzo, e il più indicativo, è arrivato nella prima tappa del Delfinato. Secondo la sua personalissima alternanza, Edvald Boasson Hagen sembra destinato ad un gran bel Tour de France: le frazioni adatte alle sue caratteristiche, quelle mosse che premiano corridori veloci e resistenti, non mancano. Speriamo non manchi lui, anche se quando si parla di Tour de France il ragazzo trova una continuità insperata.

Cees Bol

(©Twitter, Sunweb)

Chi è Cees Bol? È una domanda lecita, dato che il ventitreenne della Sunweb è alla prima stagione tra i professionisti. La stagione passata è stata di alto livello: Bol ha brillato tra i pari età e ha iniziato ad accumulare esperienza con la Sunweb a partire dal primo agosto, il giorno a partire dal quale uno stagista può aggregarsi alla squadra Professional o World Tour che lo ha messo sotto contratto. La giovane età non permette di pronosticare a Bol un futuro certo; per il momento, è un corridore veloce e piuttosto resistente. Gli ultimi mesi sono stati sorprendenti, con tre vittorie una più prestigiosa dell’altra: alla Danilith Nokere Koerse ha battuto Ackermann, nella settima tappa del Tour of California ha anticipato Sagan e nella prima del Giro di Norvegia ha sconfitto Grosu, Kristoff e Naesen. Malgrado tutto, il Tour de France potrebbe rivelarsi troppo duro per un neoprofessionista che non ha nelle salite il suo terreno preferito. C’è da dire, però, che dopo il forfait di Dumoulin, la Sunweb arriva alla Grande Boucle stordita ma scevra di responsabilità: punteranno sulle volate a ranghi ristretti e sulle fughe, con Michael Matthews alla caccia di successi di tappa e della maglia verde conquistata due anni fa. È probabile che tutti i membri della Sunweb si getteranno all’attacco, prima o poi: d’altronde, non ci saranno scalatori da proteggere. Proprio per questo, Cees Bol può sperare in una giornata di grazia: se ci fosse stato Dumoulin, probabilmente sarebbe stato lui a rimetterci il posto. Cees Bol compirà ventiquattro anni il ventisette luglio: quel giorno, tra Albertville e Val Thorens, si deciderà il Tour de France 2019, e il giorno dopo quel che resterà del gruppo pedalerà sui Campi Elisi. Concedersi la volata più prestigiosa dell’anno come regalo di compleanno è troppo, ma il regalo Cees Bol potrebbe farselo anche giorno dopo giorno, portando a termine un Tour de France alla prima stagione da professionista.

Jesús Herrada

(©Twitter, Jesús Herrada)

Prima di tutto è Jesús e non José, dunque dei due fratelli è il più giovane – compirà ventinove anni il ventisei luglio -; oltre ad essere il più giovane, dei due Herrada Jesús è il più forte: è stato campione spagnolo in due occasioni, ha vinto una tappa al Delfinato nel 2016 e la Cofidis è un abito che gli calza a pennello. Arrivato nella squadra francese lo scorso anno, Herrada ha smentito i detrattori che non lo ritenevano all’altezza del World Tour infilando un buon risultato dietro l’altro. Nel 2018, pur non avendo mai esultato, ha dimostrato talento e continuità: quinto alla Volta a la Comunitat Valenciana, quarto al Tour of Oman, sesto al Gran Prix de Plumelec; e ancora, in fuga al Tour de France e alla Vuelta a España, corsa della quale è stato leader per due giorni. Il 2019, invece, è stato un crescendo di affermazioni: ha vinto al debutto al Trofeo Ses Salines, si è confermato alla Volta a la Comunitat Valenciana, al Tour of Oman e al Grand Prix de Plumelec e ha brillato nel mese di giugno, centrando due tappe e la classifica generale del Giro di Lussemburgo, la neonata Mont Ventoux Dénivelé Challenge e concludendo al terzo posto la prova su strada dei campionati spagnoli. La classifica generale non gli compete, i successi parziali invece sì. La Cofidis gli lascerà spazio, d’altronde non ha alternative migliori: Laporte ci proverà nelle tappe più semplici, mentre in quelle miste e d’alta montagna vedremo davanti Herrada ed Edet. È probabile che Jesús Herrada voglia tornare nel World Tour, la categoria che merita: per farlo, ha bisogno di un Tour de France di altissimo livello, un desiderio che comporta almeno una vittoria di tappa ma che non esclude la caccia alla maglia a pois. 

Wout van Aert

(©Aivlis Photography)

Wout van Aert rischia di essere il jolly del Tour de France; almeno sulla carta – ma se abbiamo inquadrato bene il personaggio, per lui la teoria si trasforma sempre in pratica –, sono cinque i ruoli che ricoprirà: dovrà ricucire sui fuggitivi per propiziare le volate di Groenewegen; dovrà pilotare lo stesso Groenewegen nei caotici finali di tappa del Tour de France; dovrà assistere Kruijswijk nei lunghi tratti di pianura e falsopiano; dovrà guidarlo, insieme a Tony Martin, nella cronosquadre di Bruxelles; e potrebbe addirittura mettersi in proprio, tra la cronometro individuale di Pau e qualche traguardo che potrebbe attirarlo come una calamita fa col ferro. Dopo una primavera sfortunata ma di altissimo livello, van Aert è tornato al Delfinato con una forma smagliante: ha vinto due tappe – una volata a ranghi ristretti e una cronometro -, ha raccolto anche un secondo e un terzo posto e ha conquistato la classifica a punti. Tornato in Belgio per le prove del campionato nazionale, ha scherzato la concorrenza nella cronometro ed è arrivato terzo nella prova in linea. Che Wout van Aert possa centrare almeno un successo di tappa è parere di molti; che possa lottare con Sagan e Matthews per la maglia verde non è da escludere, ma ci sono delle volate e una classifica generale da tutelare; che un ventiquattrenne proveniente dal ciclocross partecipi al Tour de France senza aver mai corso così tanto su strada, tuttavia, è una suggestione che si regge in piedi da sola.

Peter Sagan

(©Emanuela Sartorio )

Gli obiettivi del tre volte campione del mondo sono chiari: partire in maglia gialla e finire in maglia verde. Un gioco di colori che poi vorrebbe concludersi, almeno nella testa del corridore, con il quarto titolo iridato da conquistare a settembre inoltrato. Prima, però, c’è il nodo Tour de France da sbrogliare e gli avversari non mancheranno. Se Viviani, Groenewegen, Kristoff ed Ewan saranno i nemici designati sul traguardo di Bruxelles il primo giorno, Matthews, Trentin, lo stesso Kristoff e perché no Van Aert saranno, fino all’ultimo, gli avversari per la maglia verde. Peter Sagan, però, ha spalle solide e dopo una maledetta primavera che lo ha respinto, con la recente vittoria di tappa al Tour de Suisse ha dimostrato di essere ritornato solido e vincente. Al Tour de France ha conquistato, su sette partecipazioni, quarantadue podi di tappa, dodici successi, sei maglie verdi – una gli è sfuggita dopo una squalifica per scorrettezze in volata -, ha indossato la maglia gialla, nei momenti di grazia agonistica è andato spesso e volentieri in fuga anche nelle tappe di montagna, pur di conquistare qualche punticino sparso qua e là. A fine Tour 2019 vorrebbe abbattere il muro dei cinquanta podi, e magari avvicinare o superare quota quindici successi: la settima maglia verde a quel punto potrebbe essere una mera formalità.

Maximilian Schachmann

(©Twitter, Maximilian Schachmann)

Se in casa BORA Peter Sagan smette i panni del campione slovacco, Maximilian Schachmann farà il suo esordio al Tour con la casacca del campione tedesco. Schachmann l’ha strappata proprio al suo compagno di squadra Ackermann in un arrivo che ha ricordato un campionato sociale, con Burghardt e Schillinger ad accompagnarlo sulla linea del traguardo. Il corridore teutonico arriva da una straripante primavera che gli ha visto fare un notevole salto di qualità con cinque vittorie – la sesta, appunto, pochi giorni fa – e tre piazzamenti nei cinque nelle classiche della Ardenne e si presenta al Tour de France come uno degli uomini da seguire con maggiore attenzione per i successi nelle tappe più impegnative e nelle fughe da lontano. Difficile immaginarcelo a fare classifica – un solo precedente in un Grande Giro, trentunesimo sulle strade della Corsa Rosa nel 2018 – e poi la sua squadra dovrebbe supportare, per la generale, Konrad e Buchmann. Occhio, però, perché da dilettante e anche in questa sua prima parte di stagione, il classe ’94 di Berlino ha dimostrato di non disdegnare le gare a tappe. Forte a cronometro e resistente in salita, magari tre settimane per lui potrebbero risultare indigeste, ma va così forte che a porre limiti ci sembrerebbe di fargli uno sgarbo. Il 28 luglio tireremo le somme.

Alessandro De Marchi

Un sorridente De Marchi al Tour de Yorkshire con un tifoso. (©Twitter, Alessandro De Marchi)

Il friulano sarà, insieme al compagno di squadra Van Avermaet, il faro di una CCC fin’ora in difficoltà all’esordio nel World Tour. Investitura pesante per il classe ’86  che fa delle lunghe fughe il suo marchio di fabbrica. Dovesse partire un attacco da lontano con all’interno nomi come il suo, di De Gendt, di Calmejane, del già citato Schachmann o di Alaphilippe, scommettere sull’esito dell’azione diventerebbe scontato, sul vincitore invece un po’ meno. Dal rendimento sicuro come quello della migliore delle utilitarie, De Marchi è un corridore di qualità quando c’è da correre in supporto ai capitani, sia in pianura che in salita, è tenace quando va in fuga ed è cliente pericoloso per tutti quando il gioco si fa duro, quando fa caldo o la corsa è investita da pioggia torrenziale. In carriera ha raccolto meno di quello che sperava, ma le cinque vittorie sono di livello – tre tappe alla Vuelta, un Giro dell’Emilia e una tappa al Delfinato – e spesso le sue azioni si sono infrante a poche centinaia di metri dal traguardo. Il ciclismo di De Marchi è sognare ogni giorno un’impresa diversa e su questo aspetto il Rosso di Buja resta tra le migliori muse ispiratrici del gruppo. Se chiudete gli occhi, lo potete vedere già in fuga dal terzo giorno di gara.

Fabio Aru

(©Bicifoto.it)

Aru, per essere al via del Tour de France, ha forzato, bruciato le tappe del recupero post operatorio e sbaragliato una concorrenza interna agguerrita andandosi a prendere l’ultimo posto disponibile a discapito del più giovane Petilli. Ha lanciato buoni segnali prima al Tour de Suisse e poi al Campionato Italiano e si getta sul Tour de France con la caparbietà che lo ha spesso contraddistinto. Fare classifica per il corridore sardo, però, ci sembra eccessivo, vedergli vincere una tappa invece no. Cerchietto rosso quasi sicuramente l’11 luglio nei Vosgi, sui 1148 metri dell’arrivo de La Planche des Belles Filles, luogo che lo ha già visto trionfatore due anni fa quando fu capace persino di soffiare la maglia gialla a Froome. Su quell’arrivo potrà capire a che punto di competitività è arrivato dopo l’operazione e mesi molto difficili. Se dovesse andare male, però, non si abbatta, già vederlo al via di questa corsa appare un successo. Un corridore di questa tenacia e qualità, dovesse uscire di classifica, potrebbe tranquillamente mettersi in gioco provando qualche fuga da lontano nelle tappe di montagna che di certo non mancheranno nella seconda parte di Tour, oppure contendere ai sempre battaglieri padroni di casa, la conquista della maglia a pois.

Julian Alaphilippe

(©Claudio Bergamaschi)

E proprio di maglia a pois si parla quando è il turno di Alaphilippe. Numero uno del ranking mondiale e grande protagonista della primavera ciclistica, il classe ’92 in forza alla Deceuninck arriva al Tour de France un po’ in sordina nonostante la vittoria di tappa al Delfinato. Impensabile vederlo lottare per la classifica (e a quale scopo snaturarne le caratteristiche?), Alaphilippe lo immaginiamo alzarsi ogni mattina con l’intento di andar in fuga, come gli accade costantemente ogni volta che è iscritto al Tour de France. Se nel 2016 il cuore viaggiava più veloce delle gambe, nel 2018 le sue prestazioni in terra francese sono state superlative e preambolo di quello che è poi riuscito a raccogliere quest’anno tra Strade Bianche, Milano Sanremo e Freccia Vallone. Vincitore uscente della classifica dei Gran Premi della Montagna, l’obiettivo di uno degli idoli di casa è quello di conquistare nuovamente una tappa  – lo scorso anno furono due – e di bissare la graduatoria contraddistinta dalla maglia a pois. Quest’anno, però, la concorrenza sembra ancora più agguerrita: da Barguil fresco vincitore del titolo transalpino e che lo scorso anno fu quasi doppiato nel punteggio – 17o a 91 – a G. Martin, dai numerosi scalatori spagnoli – gli Astana, Herrada, Landa – fino agli italiani Ciccone, Nibali e Aru.

 

 

Foto in evidenza: ©Tour de France, Twitter