Proporre quotidianamente salite e strappi proibitivi significa forzare lo spettacolo.

 

 

La Vuelta a España è la corsa che, più di ogni altra, tenta di arginare il livellamento raggiunto dal ciclismo professionistico odierno con un disegno del percorso che ogni anno stupisce sempre di più, soprattutto per arginare le diverse fasi di studio che può attraversare una tappa. Se l’intento è nobile, i risultati sono rivedibili; e ancora, anche se i risultati fossero ottimi è l’idea di fondo che ci sembra sbagliata: lo spettacolo non può e non deve diventare il fine ultimo di una corsa di biciclette.

La grande corsa a tappe spagnola ha disseminato lungo il tracciato dell’edizione 2019 – ma anche delle passate – trappole d’ogni genere: salite che spesso si susseguono senza dare respiro al gruppo, pendenze che superano in diverse occasioni il 20%, muri e strappi posizionati anche a cento chilometri dal traguardo, nella speranza che anche la più noiosa delle tappe possa trasformarsi in un rodeo. Ma il ciclismo non è soltanto questo; così si fa passare il messaggio che è ciclismo solo quello che dà spettacolo.

Il ciclismo, al contrario, è da sempre lo sport della resistenza, ovvero della pazienza. O meglio, era nato e prosperato in questa direzione; poi ha deviato verso un’altra strada, quella della velocità, ma non è questo il momento di schierarsi dalla parte del torto o della ragione. Lo spettacolo, tuttavia, non dev’essere forzato: lo si può assecondare o propiziare, ma questa ricerca spasmodica delle pendenze estreme rischia di diventare anacronistica, quasi una macchietta.

Considerati tutti i fattori che hanno contribuito a cambiare il volto del ciclismo contemporaneo, il più importante ci sembra quello più taciuto: la scelta dei rapporti a disposizione dei corridori. Finché non verrà posto un limite alle aggiunte e alle integrazioni, l’evoluzione potrebbe diventare una deriva: e nemmeno le pendenze dello Zoncolan, dell’Angliru e de Los Machucos – tratti tra il 25% e il 30%, inserita per la prima volta nella Vuelta a España 2017, fu la giornata in cui Nibali distanziò Froome di oltre quaranta secondi – basteranno più. Bisognerà trovare qualcosa di nuovo, qualcosa di ancora più spettacolare, qualcosa di ancora più estremo: perdendo, magari, il senso della misura e di questo sport.

 

 

Foto in evidenza: ©La Vuelta, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.