Rinfresca il bitume rovente, alza vaporose nubi di calore e abbassa in maniera tanto piacevole quanto momentanea la soffocante arsura agostana. Gli scrosci di pioggia estivi, a seconda delle circostanze, possono generare sollievo quanto creare attimi di scompiglio, un’eventualità quest’ultima molto probabile se ci si trova in sella a una bicicletta e ancora più concreta se ci si trova a disputare, in sella a quel leggero cavallo di carbonio, la corsa a tappe più nota e importante al mondo.

È proprio in quei frangenti, dove l’adrenalina si mischia al sudore, che l’acqua può assumere seriamente le sembianze di un infimo nemico pronto a rendere scivolose le strade e, più in generale, a complicare la marcia degli atleti. D’un tratto quella freschezza rigenerante che la pioggia in estate sa esprimere si trasforma in una corrente in grado di lavare, assieme all’asfalto, speranze e certezze, desideri e buoni propositi, sangue e pelle, quelli di uomini che, improvvisamente investiti da questa forza liquida, finiscono in terra avviluppati alle loro bici. Nel corso della prima tappa Pavel Sivakov, alla prima partecipazione in carriera alla Grande Boucle, è stato colui che più di tutti ha risentito delle temibili conseguenze provocate dal fluido che in gran quantità il cielo ha riversato sui corridori durante la prima frazione del Tour de France.

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Non una ma ben due volte il russo, nato in Italia e con passaporto francese, ha battezzato la durezza dell’asfalto transalpino e in entrambe le situazioni ha raccolto il proprio velocipede solcato da fiotti di sangue sempre più diluiti. Tutti hanno notato subito le abrasioni, i gomiti sbucciati e i pantaloncini bucati, segni concreti dell’avvenuta sventura; solo in un secondo momento gli occhi del pubblico hanno intravisto la paura pervadere le sue gambe e il tremito delle mani rendere insicure le frenate, sensazioni presto sostituite da un misto di rabbia, dispiacere e impotenza che ha preso il sopravvento nei lunghissimi e vani chilometri d’inseguimento al gruppo ormai lontano e involato verso l’inevitabile sprint conclusivo.

In quei metri, su e giù per la costa nizzarda, il portacolori del Team Ineos-Grenadiers ha continuato a pedalare da solo col dolore a renderne problematica la pedalata e una nube di pensieri a rincorrersi in testa. Il primo, nel rispetto del vademecum del buon ciclista, è stato per la linea bianca di Nizza, per concludere la propria fatica e darsi un’altra speranza, quella di proseguire ed essere ancora utile alla causa della sua squadra e del suo capitano Egan Bernal. Con determinazione, chiudendo 172° sui 174 arrivati a oltre 13 minuti da Kristoff, il poliglotta figlio d’arte di Alexei alla fine è riuscito in questa missione, strappando un altro biglietto per la “giostra” gialla e dando una bella prova di caparbietà e resistenza, qualità interiori che evidentemente la pioggia, per quanto ostile, non è riuscita a lavar via dalle membra ammaccate ma tenaci del solido Sivakov.

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