Pinot vince sul Tourmalet mentre Alaphilippe guadagna ancora su molti avversari.
Chi porta la propria bicicletta in cima al Tourmalet è sempre maledetto, talvolta dannato. Le cittadine alla base sono Saint-Marie-de-Campan e Luz-Saint-Sauveur. Non diresti mai che nella prima, dal nome bucolico, siano volati i sacramenti di Eugène Cristophe. Avesse trovato quella scheggia che gli aveva forato il copertone l’avrebbe usata per trafiggersi i muscoli e risvegliarli, alla maniera di Luis Ocaña, dopo dieci chilometri a piedi per cercare un meccanico. Gli abitanti di Luz-Saint-Sauveur sono chiamati luceani. La stessa luce che trafigge la città attraverso tre montagne: “un luce bianca dal buio, simile alla vista di colui che da una cantina guardasse fuori”, così scrisse Hugo. Simile al tunnel di luce che l’anestesia impone al cervello umano. La maledizione è questo: il maledire, il segnare col male, l’avere il diavolo dentro, qualcosa di mortifero, la nebbia di novembre che penetra nelle ossa anche a luglio.
La dannazione è qualcosa di diverso. È la caduta che rialza, la maledizione che benedice, l’uscita dagli schemi imposti. È credere che la deviazione, che l’eccesso, che gli spettri del male, che gli aghi nei muscoli, l’acido lattico, che il sudore e la bava alla bocca siano una forma di sublimazione dell’arte. Octave Lapize che vince la tappa del Tourmalet nel 1911 e grida “assassini” agli organizzatori è dannato dopo essere stato maledetto dalla strada consumata del mostro. Il dannato è Baudelaire che scrive “Les Fleurs du mal” tra oppio e assenzio: sarebbe stato solo maledetto se avesse usato oppio e assenzio per assicurarsi un delirio facile, un’evasione necessaria, in una depressione profonda.
Vincenzo Nibali che scatta quando mancano 109 chilometri al traguardo e si arrampica in salita sulla Côté de Labatmale e sul Col du Soulor per poi gettarsi in discesa con immane disperazione vorrebbe essere dannato. È solo maledetto da questo giro maledetto. È una maledizione che sfida la dannazione ma resta maledizione, con tutta la sincerità e l’umanità del siciliano. Non c’è via di mezzo: c’è crollo verticale per Bardet, per Yates, per Quintana e per Mas; forse la constatazione che quel Impanis che nelle pagine di Brera ai tempi di Magni se la svignó in un bar su queste pendici non era un allucinato. Uno sfinito sì, ma un allucinato no. Questa idea non è lontana da venire: soffriresti meno a buttarti a valle dal precipizio, in certi istanti. Maledetti sono anche Fuglsang, Valverde, Urán e Barguil: all’ultimo respiro, quando ti senti uno scampato e arriva il plotone di esecuzione.
Thibaut Pinot è un dannato e forse anche un predestinato, a ben guardare. Il ragazzo di Mélisey ama l’arte: le stradine e borghi d’Italia gli piacciono proprio per quello, per la bellezza. In conferenza stampa dirà qualcosa di inusuale, come fece l’anno scorso al Lombardia, e i francesi se la ridono perché l’orgoglio del Tour de France è smisurato sempre ed oggi ancora di più: Pinot vince la tappa, Alaphilippe non solo non cede ma stacca addirittura Geraint Thomas in salita. Sono dei dannati dalla nascita, questi francesi che scelgono la bicicletta: potessero morirci lo farebbero sui Campi Elisi, perderebbero il Tour ma arriverebbero alla gloria, alla poesia. Gli stessi francesi che sfoggiano numeri e elencano dati da grandeur: perché oggi, nel cinquantesimo anniversario dell’allunaggio, il Tour ha affrontato il Tourmalet per l’ottantatreesima volta, arrivando in vetta per la terza volta il giorno dopo il centenario della maglia gialla. Sembra stupida vanità, può darsi invece che non lo sia.
Il Tourmalet poteva capitare in un giorno qualsiasi e la fatica sarebbe stata la medesima, ma non sarebbe stato lo stesso. Il Tourmalet è capitato in un giorno soffocato da ricorrenze, tra dannati e maledetti, tra quelli che sulla luna non ci sono mai andati e mai ci andranno e quelli che la maglia gialla manco la vedono dal sudore negli occhi, e poco gliene importa dei suoi cent’anni. È capitato ed ha restituito maledetti dannati e dannati maledetti. Ha restituito un francese a braccia alzate e uno in giallo lontano dai drammi prospettati e vicino alle speranze. E se chi detesta i francesi un domani dirà di non ricordarsi di questa giornata, gli si potrà sempre dire che cinquant’anni prima si era andati sulla luna e si ricorderà. Anche per questo il Tour de France è il Tour de France.
Foto in evidenza: ©Maillot à Pois E.Leclerc, Twitter