La quarta tappa della Grande Boucle 2019 è la prima secondo copione.

 

 

Ad un paio di giorni dalla partenza del Tour de France 2017, il primo della sua carriera, Frederik Backaert stava mungendo le novanta mucche della fattoria di famiglia. D’altronde, quella era stata la sua vita nelle ultime stagioni: allenamenti alla mattina e lavoro al pomeriggio. Quando alle due attività ne aggiunse una terza, un corso triennale in biotecnologia, la sua carriera rischiò di non decollare nemmeno: aveva talmente tanto da fare da non riuscire a dedicare al ciclismo l’attenzione necessaria. Backaert strinse i denti, superò il momento difficile e dal 2014 corre con la Wanty. “Il ciclismo e la fattoria sono due passioni”, afferma lui. “Posso dire con una punta d’orgoglio di non aver mai lavorato in vita mia”. Ecco perché Yoann Offredo se lo porta dietro nella fuga che anima la quarta tappa del Tour de France 2019; per andare all’attacco in frazioni così piatte e così scontate, il piglio di Backaert è imprescindibile: bisogna barattare il coraggio con la spensieratezza, sostituire il mero dovere con la volontà d’assistere un compagno di squadra.

Reims, che ospita la partenza odierna, è una città che ha la tregua e la pace nella sua storia. Il 7 maggio 1945, la Germania vi firmò la resa, che sarebbe stata ufficializzata il giorno dopo a Berlino in presenza dei russi. Forti del precedente, anche altri membri del gruppo vi si affidano: sono Bardet, Daniel Martin e Porte, il cui Tour de France è già compromesso nonostante il gruppo non abbia ancora affrontato una salita non diciamo difficile, ma quantomeno di seconda categoria. L’accordo è chiaro: non ci dovranno essere cadute, rilevamenti cronometrici né tantomeno l’Alaphilippe di turno che ci fa fare la figura dei barbagianni. Non ci sono stati franchi tiratori e il patto è stato rispettato. I tre che sono andati via – Schär, Offredo e Backaert – non facevano certo paura; un sorriso, tuttavia, lo hanno suscitato, considerando che alla partenza occupavano le posizioni 145, 146 e 147 della classifica generale. Il primo a mollare è stato Offredo, il più testardo invece è risultato Schär, che se fosse un animale della fattoria di Backaert sarebbe un mulo – insieme a Calmejane, che rinnova il suo personalissimo repertorio di attacchi sconclusionati con una fiammata che dura una manciata di chilometri, giusto il tempo che il gruppo impiega ad organizzare la volata.

Sagan, più che una tregua, avrebbe voluto darci un taglio: a tutti questi piazzamenti, a questo stato di forma sempre ottimo e mai eccezionale. Viviani, al contrario, vuole fare baruffa finché l’altimetria glielo permette; con una bella volata si è messo alle spalle il meglio della velocità (poca roba, ad essere sinceri, ma è pur sempre la prima vittoria della sua vita al Tour de France). Essendo stato criticato e punzecchiato a volontà nel corso del tempo, Viviani è contento che una fetta importante di mondo lo abbia visto vincere nella corsa più prestigiosa. Backaert, invece, si augura che i suoi genitori si siano lasciati distrarre il meno possibile dalle sue scorribande. “Altrimenti, tutto il lavoro che hanno lasciato loro devo sbrigarlo io quando torno dal Tour de France”.

 

 

Foto in evidenza: ©Le Tour de France UK, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.