Dopo una vita da gregario che ricomincerà domani, Benedetti agguanta la vittoria.
Nella carovana del Giro d’Italia c’è tanta confusione. Non nel gruppo, però. I velocisti hanno le idee chiare: Démare e Ackermann dovranno stare attenti ai fuori tempo massimo, ma la loro speranza è quella di arrivare intatti a Verona; per Ewan e Viviani, al contrario, il Giro d’Italia s’è chiuso a Novi Ligure con l’ultima giornata adatta alle loro caratteristiche, e non è che abbiano fatto una bella figura. Anche gli scalatori sono ben piantati su posizioni irremovibili: c’è chi deve conoscersi, chi deve osare, chi deve difendersi, chi può permettersi di rimanere a ruota e studiare la situazione. Non hanno bisogno di emulare il Monviso, il cui nome significa “montagna ben visibile”: i favoriti per la classifica non sono esibizionisti, possiedono il dono della pazienza.
La confusione c’è tra gli addetti ai lavori, tra i cronisti, tra i telecronisti e i giornalisti. È bastata una salita di nove chilometri scarsi per riempire ore di diretta e pagine di giornali. Era abbastanza chiaro che non sarebbe successo niente, e infatti succede poco o nulla. Conti perde la maglia rosa e la cede a Polanc, un buon corridore che non la indosserà a lungo. Ha di che essere soddisfatto, Conti: per un gregario, tenere la maglia rosa una settimana è un risultato da incorniciare. L’esperienza potrebbe essergli servita per fare quello scarto in avanti che gli si prospetta da qualche anno. Per il resto, poco altro. Il Montoso è una bella salita, niente da dire: peccato che non abbia nessuna possibilità di rivelarsi decisiva se inserita a quaranta chilometri dal traguardo di una tappa né lunga né tantomeno nervosa.
Come da copione, davanti rimangono i migliori e dietro si muovono i soliti noti. Landa e Miguel Ángel López sono incendiari più per necessità che per indole, dato che in dieci giorni hanno accumulato minuti di ritardo: tanto abbaiare per meno di trenta secondi, perlomeno un segnale c’è stato; Nibali, Roglič e Yates si punzecchiano ed è giusto così, il ciclismo è un sport d’attesa e non di sperpero d’energie: è inutile esigere dal ciclismo uno spettacolo praticamente quotidiano per poi lamentare che il ciclismo stesso venga trattato come uno spettacolo, un evento mediatico e nulla più. Sono i soliti anche a rimetterci la pelle: Formolo e Jungels, ad esempio, ai quali auguriamo di non passare un’altra settimana (sarebbe l’ennesima) a proteggere un piazzamento che non aggiungerebbe nulla al loro palmarès. Non succede un granché, dunque, ed è giusto così: la battaglia per la maglia rosa inizia domani. Tuttavia, un imprevisto ha strappato il copione dei fuggitivi quando ormai sembrava deciso: a Pinerolo ha vinto Cesare Benedetti.
Non piange, non ha l’occhio lucido, nelle interviste ricorda che ormai ha quasi trentadue anni e che una vittoria al Giro d’Italia non gli cambia un accidente; è contento, certo, ma da domani tornerà al ruolo di sempre: tirare, ricucire, affiancare i capitani feriti rimanendo in silenzio, pilotare quelli più inesperti o bisognosi, distribuire borracce. Ben gli sta a chi butta lì parole e sensazioni come fossero briciole agli uccellini: le parole sono importanti e il senso che veicolano ancora di più. Non ci sono sciami impazziti né api regine assenti: era una tappa di transizione e tale è stata. L’ha vinta Cesare Benedetti, uno che sa alternare sguardo torvo e sorriso splendente, che è più polacco che italiano, che preferisce l’educazione polacca a quella italiana “perché puntano sul rispetto e sulla moralità, mica come da noi”.
Se Fausto Coppi corresse oggi, cavalcherebbe una specialissima in carbonio, si alimenterebbe con maltodestrine e barrette, e verrebbe accusato dal pubblico di essere un corridore poco spettacolare. La sua Cuneo-Pinerolo fu indubbiamente più bella di quella odierna, ma entrambe sono indicative: ci raccontano i cambiamenti del mondo e del ciclismo. Finite le salite sterrate e i rapporti infernali che causavano distacchi irreparabili. Il bello della storia è che si verifica ieri e non oggi, qui e non lì; e il bello del Giro d’Italia è che con la storia si mescola, si perde, si amplifica. E il bello del ciclismo è che, di tanto in tanto, vincono anche i corridori come Cesare Benedetti, che corre oggi, nel 2019, ma che non avrebbe avuto problemi a meritarsi una pacca sulla spalla dai campioni d’una volta.
Foto in evidenza: ©Giro d’Italia, Twitter