Sono appena arrivato: intervista a Filippo Fiorelli

Filippo Fiorelli è sbocciato tardi e questa potrebbe essere la sua salvezza.

 

 

Quando arriva l’inverno, Giovanni Visconti prende spesso un volo per tornare in Sicilia, la sua terra natia. Il ritorno del corridore di casa è accolto con pedalate e ritrovi di appassionati di ciclismo. In una di queste occasioni, a Palermo, il proprietario di un negozio di biciclette si avvicina a Giovanni, tenendo sotto braccio un ragazzo. «Guarda bene questo ragazzo, diventerà un campione». Quel ragazzo è Filippo Fiorelli. «Sinceramente ho pensato che stesse dicendo una sciocchezza. Sapevo di cavarmela abbastanza bene in bicicletta, ma finiva tutto lì. Non avevo idea nemmeno io di cos’avrei voluto o potuto diventare, figuriamoci lui». Non che Fiorelli non avesse ambizioni o passioni in quel campo, tutt’altro.

Le domeniche della sua infanzia sono trascorse a casa dei nonni con papà vedendo gli scatti di Marco Pantani. Il suo atteggiamento resta però fedele al detto “piedi ben saldi a terra”. Suo papà aveva sempre praticato ciclismo a livello amatoriale e sin dall’età di quattordici anni aveva spinto affinché la passione di Filippo potesse diventare qualcosa di più grande. Qualche resistenza l’aveva la madre. «In Sicilia non c’erano squadre. Sapeva benissimo che mi sarei dovuto trasferire al Nord e la cosa le dispiaceva. Forse anche per questo, in un primo momento, accantonai questa possibilità. Tutto cambiò quando mio papà ebbe un incidente abbastanza serio. In quel momento pensai che avrei dovuto correre». Per questo Fiorelli inizia a gareggiare tardi, nel 2014. È proprio il proprietario del negozio di biciclette sotto casa ad aiutarlo ad inserirsi nel mondo amatoriale quando ha già diciotto anni.

Giovanni Visconti è un riferimento per Filippo Fiorelli. ©Neri Sottoli-Selle Italia-KTM, Twitter

«Sai, il nome gira in fretta se lavori bene. Già nel 2015 venni contattato da una squadra Toscana: avrei voluto trasferirmi, ma la squadra per la quale corsi in precedenza non mi rilasciò il nulla osta. Eravamo veramente pochi in squadra e perdere un altro ragazzo per loro sarebbe stato un problema. Tornai a casa con la promessa che l’anno successivo avrei avuto un contratto. Così mi trasferii nel 2016». Il ragazzo ha i numeri: quarto al Palio del Recioto, terzo a Capodarco, convocato da Marino Amadori al Giro dell’Appennino. Poco tempo dopo, con la Delio Gallina, si mette in mostra anche in Bulgaria. Il 2017 in Beltrami è un anno sfortunato a causa della mononucleosi, ma le premesse restano quelle di quel pomeriggio a Palermo con Visconti.

Tanto più che ora conosce Giovanni di persona e ogni tanto escono assieme ad allenarsi. «A casa mia l’idolo era Giovanni Visconti. Non avrei mai pensato che un giorno sarebbe stato lui stesso a telefonarmi o a scrivermi, chiedendomi di uscire assieme in allenamento o di prendere un caffé. Mi ci rassomiglio molto come corridore e quando lo vedo correre resto ammirato. Pensiamo a cos’ha fatto lo scorso anno sul Monte Serra. Al di là di questo, però, c’è un ottimo rapporto anche umano. Lui è molto umile. Quando ci alleniamo assieme mi dice sempre ciò che pensa del mio modo di lavorare. Lo apprezzo. È sincero. Vuol dire che comunque tiene alla mia crescita».

Vincenzo Nibali è invece «un extraterrestre» che ancora non conosce a fondo, ma «magari vincessi ciò che ha vinto lui». A parte questo, però, Filippo Fiorelli è in prima battuta un ragazzo riconoscente. Il nome di chi lo ha aiutato nel suo percorso torna più volte e ad ogni frase con l’aggiunta di un qualcosa, un qualcosa che va a definire i motivi di quella riconoscenza. Che tiene unito un discorso sparso in molti rivoli. Così si parla di Marcello Massini, suo direttore sportivo, e di Paolo Alberati, suo procuratore.

©Per gentile concessione di Luca Barioglio, Bardiani-CSF-Faizanè

«Marcello ha cinquant’anni di esperienza, conosce tutte le gare; ma, ancor più importante, conosce gli uomini con cui lavora. Alle riunioni pre gara con lui io avevo otto orecchie. L’ho già detto a Bruno Reverberi: se negli anni scorsi avessi corso con la radiolina, con i suggerimenti di Marcello avrei vinto molto di più. Io sono un istintivo, ma forse per la poca esperienza sbaglio ancora i tempi». La parola chiave per parlare di Paolo Alberati, invece, è fiducia. La stessa che Fiorelli stava iniziando a perdere nel 2018 quando, pur avendo vinto quattro gare, non si era mosso nulla per il passaggio nel professionismo. «Sono arrivato a chiedermi: se non basta questo, cosa devo fare? Volevo smettere. Ho insistito grazie alla mia ragazza, alla mia famiglia, a Massini e ad Alberati». Sono loro a restituirgli una fiducia del tutto particolare. Una fiducia strettamente connessa al concetto di verità. «Paolo mi ha sempre detto le cose come stavano. Non mi ha mai illuso. Anche dopo le vittorie, quando chiedevo rassicurazioni, mi diceva solo: “se vinci ci sono più possibilità di passare. Ogni gara vinta è una possibilità in più”. Spesso i ragazzi vengono illusi e questa è la loro rovina. Quando Paolo, dopo i sette successi del 2019, mi ha detto che si firmava con la Bardiani, ero sicuro che sarebbe accaduto perché di lui mi fidavo. È questo il suo punto vincente».

La fiducia è un bisogno di ogni atleta, ancor di più quando il tempo non è poi molto. «Non ho diciotto anni. Non ho più tanto tempo per dimostrare quanto valgo. Devo farlo adesso. Quando mi dicono di fare qualcosa, io la faccio perché credo sia giusto così. Non mi fidassi delle persone che ho accanto, non sarebbe possibile». Questo senso di fretta potrebbe intimorire, ma Fiorelli fa leva sulla consapevolezza. «So quello che sono, quanto valgo. Guardiamo il Tour of Utah e l’Adriatica Ionica Race: sono riuscito a stare con i professionisti, cercando di giocarmela. Sono arrivato sfinito, ma questo è normale. Però ero lì. Per questo non ho particolari timori».

©BICITV, Twitter

In realtà ad aiutarlo c’è anche il suo carattere: vivace e tendente a minimizzare i problemi, considerandoli con serietà ma riportandoli alla loro reale entità. Tutto ciò, però, non gli evita di sentire la mancanza della sua terra. «In inverno, quando vado in Sicilia, provo sempre nostalgia. Mi aiuta sapere di avere una famiglia anche in Toscana, dove vive la mia ragazza, anche lei trasferitasi dal Sud. La propria terra manca, però. Manca tutto della Sicilia». Del resto lo si fa per il ciclismo, «un qualcosa di fantastico, che scuote dentro. Ho praticato anche basket e calcio, ma queste sensazioni non le ho mai provate. Sono eccezionali, difficilissime da spiegare». Se non fosse diventato ciclista, sarebbe diventato cameriere: proprio nel periodo in cui trovò la prima squadra, sarebbe dovuto partire per uno stage a Sharm el-Sheikh. «Non avevo idea di cosa sarei diventato, ma quel lavoro mi piaceva. Non credo fosse tanto merito del mestiere in quanto tale. La verità è che ho avuto un professore molto bravo alle superiori. Mi sono appassionato grazie a lui. Il ruolo di chi insegna è sempre fondamentale. Pone un seme in ciascuno di noi».

Racconta di avere un ottimo spunto veloce e una buona tenuta in salita, almeno fra i dilettanti. È consapevole, però, di come tutto cambi fra i professionisti. Talmente consapevole che, quando parla di Parigi-Roubaix e Milano-Sanremo come gare dei sogni, si affretta a precisare: «Almeno sulla carta. Il salto dalle categorie minori al professionismo è rischioso. Difficili pronunciarsi prima su ambizioni e futuro. Come terrò in salita? Fra i dilettanti andavo bene, ma ora?». Quel mondo, il professionismo, non gli è nuovo da quella telefonata che Marino Amadori fece a Marcello Massini mentre lui e i suoi compagni si allenavano per una gara nei pressi di Tagliolino. «Non sapevo cosa si fossero detti, ma da come Marcello riattaccò mi dissi subito che non sarei stato fra i convocati per la gara. Ci rimasi male. Chiesi più volte perché. Seppi solo dopo della convocazione. Una grandissima soddisfazione. Da allora, a parte un anno, sono sempre tornato in Nazionale».

© Il Tirreno

Di quell’assaggio di professionismo, Fiorelli ha selezionato pochi ma significativi momenti che rivive come scorrendo le diapositive di un film: gli allenamenti, le divise, i viaggi, i rifornimenti e i colloqui con Davide Cassani. «Davide l’ho sempre visto in televisione. Pensa vederlo in camera, seduto accanto a te, mentre ti spiega la tattica. In Nazionale sono stato molto bene, nessuna pressione. Cassani è il primo a sapere che siamo tutti lì per imparare. Ha corso anche lui. Sa mettersi al nostro livello e capirci». Dei tanti risultati dello scorso anno, quello che ricorda maggiormente è il successo in Albania. La vittoria davanti a affermati professionisti, le lacrime dopo il traguardo, la gioia, la telefonata con la fidanzata e con Paolo Alberati. «Paolo mi disse che quel giorno aveva capito una cosa in più di me. Non solo ero forte atleticamente, ma anche di testa. È difficile gestire la pressione quando ti trovi con altri quattro atleti che comunque hanno più esperienza di te. Io personalmente ero tranquillo. Nel peggiore dei casi sarei arrivato quarto».

In alcuni tratti Fiorelli stravolge con brillantezza anche il consueto modo di pensare. Quel modus che associa le parole e i tempi ad una consuetudine quasi stantia. Quella consuetudine per cui, per esempio, si debba trovare il prima possibile la propria strada. Quella per cui per praticare uno sport ad alto livello sia necessario iniziare sin da giovanissimi. Non è così. Tardi, almeno per Fiorelli, almeno in questo campo, è sinonimo di giusto. «A un ragazzo che inizia adesso a praticare ciclismo consiglierei di seguire la mia strada. Arrivare troppo presto non è sempre un bene. Si rischia di logorarsi, di stancarsi. Mi capita di vedere ragazzi che corrono in bicicletta quasi per forza, malvolentieri. Mi chiedo: ma se corri senza stimoli, cosa corri a fare? La realtà è che, in parte, se mancano i risultati la voglia viene meno, ma è vero anche che ogni cosa ha il suo tempo. Da giovani bisogna anche liberare la mente. Io facevo così. Se arrivi in realtà importanti troppo presto, rischi di non farcela, di consumarti ancora prima di iniziare. Bisogna essere costanti, ma è necessario rifuggire la fretta».

 

 

Foto in evidenza: ©Per gentile concessione di Luca Barioglio, Bardiani-CSF-Faizanè

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/